martedì 28 settembre 2010

La vera storia di Mario Scaramella. Dagli Alburni a Londra, passando per il Suvio


Inserito il 27 settembre 2010 alle 22:12:00 da webmaster. IT - Inchiesta

Nella rubrica WatchDog ci siamo posti l’obiettivo di monitorare il mondo dell’informazione evidenziando, laddove ne verifichiamo l’esistenza, distorsioni, manipolazioni e falsificazioni. Fedeli a questa linea abbiamo deciso di rivisitare una vicenda avvenuta ormai diversi anni fa ma che ci pare un esempio emblematico di come i professionisti della carta stampata non dovrebbero operare.

Protagonista, suo malgrado,il dottor Mario Scaramella, che dal dicembre 2003 fino all’aprile 2006, è stato collaboratore a tempo parziale della Commissione bicamerale d’inchiesta concernente il “dossier Mitrokhin” e l’attività d’intelligence italiana.
Scaramella, come molti ricorderanno, balzò agli “onori” della cronaca nel novembre 2006, ben sette mesi dopo la chiusura della Commissione, in concomitanza con l’avvelenamento e la morte a Londra del defezionista russo, ex agente del Kgb, Aleksandr Litvinenko. Costui era stato uno dei principali collaboratori e fonte di Scaramella durante i lavori della Commissione ed il primo novembre 2006, giorno del suo tragico avvelenamento con polonio 210 avvenuto nella mattinata presso l’hotel Millenium, aveva consumato nel primo pomeriggio un’ultima colazione proprio con il consulente napoletano al sushi bar Itsu di Piccadilly Circus.
Dopo la morte di Litvinenko la stampa italiana si scatenò contro Scaramella, colpendo e delegittimando con lui tutto l’operato della Commissione Mitrokhin che era stata presieduta dall’allora senatore Paolo Guzzanti. Una campagna inusitata per virulenza e accanimento. Da allora il nome di Mario Scaramella, come abbiamo ricordato sempre su «LiberoReporter» nel numero di aprile-maggio 2010, è oggetto di scherno e ironie.
Tutto era cominciato in quei giorni cupi di tre anni fa.

«Arrivò a sequestrare edifici abusivi, alberghi, ristoranti, bar, un caseificio e persino [!?] un ippodromo clandestino al boss Nuvoletta». Con queste parole, in un articolo dal tono sprezzante e con punte di ironia goffa, Claudio Gatti su «Il Sole 24 Ore» del 10 e 11 gennaio 2007 descriveva, riprendendo un testo della giornalista Rosaria Capacchione de «Il Mattino» di Napoli, un passaggio della carriera “farlocca”, per lui e per tantissimi altri, di Mario Scaramella.
Se questo è l’approdo dell’inchiesta del giornalista del Sole allora qualcosa non torna. Segnalare con disprezzo un'operazione riuscita contro la criminalità organizzata, per dire ai lettori guardate a che punto è arrivato questo millantatore incallito di Scaramella, è mortificante per tutti coloro i quali sono ancora dotati di qualche grammo di materia grigia e ci tengono a tenerselo ben stretto. E soprattutto lascia intravedere una sorta di partigianeria investigativa che riduce a zero il lavoro di un professionista della penna.
Per questo «LiberoReporter» si è impegnato a fondo per cercare di capire quale fosse la verità dietro queste vicende senza condizionamenti e pregiudizi, chiedendosi il perché contro quest’uomo, si sia scatenato un vero e proprio inferno mediatico.
Scaramella è stato vittima di un sistema più grande di lui o di un sistema che lo ha abbandonato in nome di chissà cosa?
La nostra inchiesta sull'ex consulente della Commissione Mitrokhin parte da qui, dall’origine del suo discredito mediatico. Noi cercheremo per quanto possibile di ristabilire la verità dei fatti.

Biografia non autorizzata
Come detto, nel gennaio 2007 sul quotidiano economico di Confindustria uscì una “biografia non autorizzata” in due puntate a cura di Claudio Gatti (Incredibile ascesa del commissario Scaramella, «Il Sole 24 Ore», 10 gennaio 2007; Il gioco di Scaramella tra il Kgb e la Cia, «Il Sole 24 Ore», 11 gennaio 2007). Va ricordato che proprio la mattina del 10 gennaio presso il Tribunale di Roma era prevista l’udienza del riesame relativa a Mario Scaramella, in carcere dal 24 dicembre 2006 accusato di calunnia nei confronti di Aleksandr Talik, ex ufficiale ucraino del Kgb, che viveva da clandestino in Italia. Il reato contestato risaliva all’ottobre 2005 e quindi era soggetto, anche in caso di eventuale condanna, a indulto. Ma Mario Scaramella resterà in carcere fino a giugno 2007, quindi trascorrerà altri otto mesi agli arresti domiciliari fino a febbraio 2008.
Quei due articoli del Sole, di oltre ventisettemila battute, ancora oggi sono fonte inesauribile di ispirazione per tutti coloro i quali si avvicinano alle vicende della Mitrokhin. Un vero e proprio testo di riferimento che ha finito per moltiplicare e diffondere ovunque un’immagine deformata e non certo lusinghiera di Mario Scaramella.
Ecco alcuni esempi emblematici, fra i tanti che si possono fare, che prendono spunto proprio dal lavoro di Gatti:
«Ma a smascherare Scaramella non sarà il Parlamento italiano. Saranno tre giornalisti (Bonini e D’Avanzo di «Repubblica», Claudio Gatti del «Sole24ore»), Scotland Yard e i giudici di Roma» (Marco Travaglio, La commissione più pazza del mondo, «l’Unità», 17 novembre 2007);
«[Scaramella] il peracottaro napoletano, che da anni truffava enti pubblici e università con curriculum farlocchi» (Marco Travaglio, «l’Unità», 24 maggio 2007).
Vediamo quindi ora di analizzare da vicino ciò che Gatti scrisse in quegli articoli.
All’inizio del suo primo pezzo il giornalista affermava:
«“Il Sole 24 Ore” ha trascorso un mese alla ricerca dei fatti e (possibilmente) della verità su Mario Scaramella. Conclusione: Paolo Guzzanti [già presidente della Commissione Mitrokhin] è solo l’ultima di una lunga serie di persone che per 18 anni gli hanno permesso di girare il mondo spacciandosi per quello che non è mai stato, cioè commissario, magistrato antimafia, professore universitario, responsabile di un’organizzazione intergovernativa ed esperto di intelligence sovietica.»
Gatti e il Sole dunque, impiegarono un mese di ricerche per ricostruire la vicenda professionale ed umana di Mario Scaramella, con l’intento di giungere “(possibilmente)” alla verità. Da allora sono trascorsi più di tre anni. Noi di «LiberoReporter» abbiamo dunque avuto sicuramente più tempo a disposizione. Abbiamo potuto cercare documenti e prove, reperti sui quali siamo stati in grado di operare meticolose verifiche e riscontri.

Fatti, non parole
Nell’incipit dell’articolo del 10 gennaio 2007, già citato, è elencata una lunga serie di “titoli” di cui, a detta del giornalista, Scaramella si sarebbe appropriato indebitamente e grazie a queste millanterie sarebbe riuscito ad accreditarsi negli ambienti più disparati.
Secondo Gatti la tecnica di Scaramella consisteva nell’«utilizzare ogni singolo contatto o evento [si presume falso o di scarsa rilevanza] per accreditarsi e legittimarsi con quello successivo in una straordinaria catena autoreferenziale senza limiti geografici». Un risultato anche minimo, quindi, ottenuto con l’astuzia, usato da Scaramella come trampolino per il passo successivo. Gatti nel suo incalzante racconto delle straordinarie e mirabolanti avventure di Scaramella, non può esimersi dall’ammettere alcuni risultati conseguiti da quest’ultimo in qualcuno dei ruoli, a detta del giornalista del Sole, usurpati. Ma Gatti lo fa con incredibile sprezzo del pericolo, alimentando la campagna mediatica senza precedenti a cui era da settimane sottoposto Scaramella. Una vera e propria character assassination.
Gatti ad un certo punto del suo racconto, definisce letteralmente “bravate” le azioni compiute da Scaramella, azioni che, ad esempio, avevano oggettivamente colpito nel 1990 interessi e beni della mafia operante sul litorale domizio-flegreo, area compresa tra Gaeta e Pozzuoli.
Il giornalista del Sole, che sembra non fermarsi di fronte a nulla, disegnando situazioni degne di Ionesco, finisce, a ben guardare, per attribuire a Scaramella capacità addirittura sovrumane. La scarsa plausibilità di una parte delle argomentazioni di Gatti sono già evidenti a chi abbia occhi e mente aperta per vederle. Basterebbe infatti, a titolo di puro esercizio di stile, provare a rileggere gli articoli del Sole con una chiave di lettura leggermente diversa e magari più attenta ai contenuti e ci si troverebbe immediatamente di fronte ad uno scenario completamente ribaltato. A suscitare ilarità non sarebbe Scaramella ma sarebbe proprio il giornalista e la sua incredibile interpretazione dei fatti.
Come si può credere possibile, tanto per fare qualche esempio, che semplicemente “puntando su sigle in inglese e contatti al di là dell’Atlantico” una “entità virtuale” possa ottenere “con stupefacente sfrontatezza” accrediti, incarichi e finanziamenti dalla NASA?
Come si può immaginare possibile che qualcuno che ha il “terreno bruciato vicino a casa” possa ricevere incarichi e consulenze peritali da procure di mezza Italia, dal Veneto alla Calabria?
E ancora, come si può onestamente credere che “sulla base di un infinitesimale granello di verità” l’Assemblea plenaria del Consiglio superiore della magistratura possa investire qualcuno della carica di giudice onorario?
Per dirla con le parole della sentenza di assoluzione per il reato di usurpazione di funzioni pubbliche del 31 dicembre 1994 è “improbabile, illogico, ed in fondo irriguardoso, ritenere che basti qualificarsi come Commissario per ottenere da una Procura della Repubblica la disponibilità ed il comando degli uomini della sezioni di P.G”, concetto che riassume tutta la delegittimazione logica dello sfinimento mediatico, e purtroppo non solo, che ha seppellito l'immagine e la rispettabilità di una persona messa alla gogna con una superficialità estrema e miserabile.
Ma al di là di queste considerazioni preliminari e introduttive, il nostro lavoro si è sviluppato analizzando in dettaglio molti degli argomenti trattati da Gatti. Eccone il resoconto puntuale.

Ma al di là di queste considerazioni preliminari e introduttive, il nostro lavoro si è sviluppato analizzando in dettaglio molti degli argomenti trattati da Gatti. Eccone il resoconto puntuale.

Scaramella “non è mai stato” commissario?
La prima “bravata” che viene addebitata a Scaramella è quella di essersi fatto passare per falso commissario ed aver quindi coordinato, nei primi anni novanta, operazioni delicate contro la criminalità organizzata campana.
Ma, in termini concreti, Mario Scaramella è mai stato un commissario?
Vediamo di capirlo. Nel 1991, in seguito alla cosiddetta operazione S. Antonio che aveva colpito pesantemente con arresti e sequestri la criminalità organizzata che operava nel litorale domizio-flegreo (si veda la foto), il futuro collaboratore della commissione Mitrokhin, che di quella operazione era stato “guida e direzione”, venne rinviato a giudizio per due capi di imputazione: usurpazione di funzioni pubbliche, avendo dichiarato di agire su mandato dell’Alto Commissariato per la lotta alla Mafia e della Commissione parlamentare antimafia e usurpazione di titolo essendosi qualificato come “Commissario”.
Gatti riporta l’episodio in questi termini trancianti: “La sentenza di condanna fu depositata il 31 dicembre 1994”.
Dunque stando a queste parole sembrerebbe che Mario Scaramella sia stato riconosciuto colpevole dei reati ascritti. Ma è questa la verità?
Leggendo la sentenza citata da Gatti emessa della Pretura Circondariale di S. Maria Capua Vetere (da cui sono tratti i virgolettati che riportiamo di seguito), sentenza dal giornalista utilizzata per demolire Scaramella, in realtà si apre il sipario su scenari molto diversi.
Secondo il capo A dell’accusa, Mario Scaramella si era appropriato di funzioni pubbliche che non rientravano in quelle di coordinatore di un gruppo di Polizia Ambientale chiamato Nasc (Nuclei Agenti Sicurezza Civile), creato nel 1988 nell’ambito della Legge-quadro n. 65/86 sull’ordinamento della polizia municipale.
Già in primo grado però Scaramella venne completamente assolto per questo reato perché “il fatto non sussiste”. Gatti però incredibilmente sembra dimenticare del tutto questa conclusione.
Leggendo poi le motivazioni della sentenza di assoluzione si rilevano dettagli particolarmente interessanti.
Il pretore Roberto de Falco scrive infatti: “risulta accertato che l’imputato propose delle operazioni da compiersi sul litorale domizio secondo le intenzioni (se non addirittura su mandato) dell’Alto Commissariato e della Commissione Parlamentare Antimafia”, quindi è appurato che Mario Scaramella “ha organizzato, coordinato e diretto operazioni” contro la criminalità “collaborando ampiamente con le più diverse autorità ed organi dello Stato”.
Emblematiche, in questo senso, anche le deposizioni di tre militari che parteciparono all’Operazione S. Antonio: fu loro ordinato di mettersi “a disposizione” di Scaramella e quindi eseguire gli “ordini del signor Scaramella”.
Emerge inoltre che Scaramella aveva stretti contatti con l’Alto Commissario Domenico Sica e con l’allora presidente della Commissione Antimafia senatore Gerardo Chiaromonte (1924 – 1993) al quale “riferiva sugli esiti delle proprie operazioni” e con ogni probabilità “agiva con il consenso se non addirittura su iniziativa” dello stesso presidente.
Va ricordato che sia Chiaromonte sia Sica vennero ascoltati come testi nel procedimento in oggetto.
Il giudice, nelle sue conclusioni si spinge ad affermare che “la condotta posta in essere dall’imputato ha goduto non soltanto dell’acquiescenza e della tolleranza della P.A. [Pubblica Amministrazione], ma, probabilmente, di un vero e proprio consenso”. E ancora “dall’istruttoria dibattimentale è emerso anche che, nell’ambito dell’operazione condotta dallo Scaramella, un altro gruppo specializzato ebbe l’ordine di assistere l’imputato [una pattuglia del G.I.C.O. di Milano – Gruppo Investigazioni Criminalità Organizzata], ed è emerso che tale partecipazione è derivata da ordini che provenivano dalla G.d.F. [Guardia di Finanza] […] ulteriore conferma della acquiescenza della G.d.F. e probabilmente di alti comandi della stessa”.
Infine apprendiamo che per ordini ricevuti “dal comando superiore” una pattuglia specializzata dei Baschi Verdi (GdF), seppur in assenza di ordini dell’A.G. di S. Maria Capua Vetere, ha “partecipato all’operazione”, dimostrando, se ancora ce ne fosse bisogno, l’approvazione di cui Scaramella godeva da parte di importanti autorità statali in lotta contro il crimine.
Pertanto il ritratto che emerge da questi passaggi è, senza dubbio, di un uomo di fiducia delle autorità anticrimine al quale venivano assegnati, attraverso il Nasc, compiti delicati nella lotta alla criminalità, compiti che venivano peraltro adempiuti con successo. A ben vedere dunque tutt’altra figura rispetto a quella delineata da strani biografi non autorizzati che si spingono ad affermare con una certa dose di coraggio: “Dopodiché, agitando a distanza il tesserino di guardia itticovenatoria provinciale [!?], il ‘commissario Scaramella’ si presentò a due sostituti [poco oltre Gatti li definirà “sostituti ingannati”] della procura di Santa Maria Capua Vetere per ottenere l'assistenza della polizia giudiziaria nelle sue attività di sequestro”.
Nello stesso processo di primo grado, relativamente al secondo capo di imputazione (usurpazione di titolo), Scaramella fu effettivamente condannato ad una lieve multa. È dunque su questa condanna, sola e unica, che Gatti sembra incentrare il suo ragionamento. Ma per far ciò occorre necessariamente minimizzare l’esito finale raggiunto dalla Corte d’Appello di Napoli, il 16 ottobre 1995, che assolse Scaramella anche per questo secondo capo d’imputazione, e sempre perché “il fatto non sussiste”.
Questa formula doveva apparire particolarmente indigesta al giornalista del Sole poiché, dopo aver parlato apertamente di “sentenza di condanna” (senza specificare che si trattava di una condanna di primo grado, per un solo capo d’imputazione e nemmeno il più grave), è costretto ad ammettere, ‘in punta di penna’, che “la condanna venne poi annullata in appello”, aggiungendo che ciò avvenne in “punto di diritto”.
Tutt’altro. L’assoluzione fu con formula piena in primo e secondo grado per l’usurpazione di funzioni e fu con formula piena in appello e poi definitiva per l’uso del titolo di Commissario. Quindi non “in punta di diritto” ma “perché il fatto non sussiste”.
Comprendiamo benissimo che dare in pasto all’opinione pubblica la storia di un imbroglione che beffa le istituzioni è senz’altro più utile alla demolizione del personaggio, però non possiamo esimerci dal far notare come il metodo utilizzato da giornalisti pronti a sparare a zero su una persona come Scaramella, somigli molto alla classica martellata sulle dita. Ridicolizzare un uomo citando solo parti di una sentenza di primo grado senza riportare compiutamente le conclusioni a cui giunsero i magistrati (sentenze passate in giudicato) ci pare non molto onorevole per dei professionisti dell’informazione.

Nino Lorusso e Gabriele Paradisi

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Didascalia foto:

Sequestri sul litorale flegreo. Segnalazione al Questore di Napoli
Nel maggio 1990 Mario Scaramella e il Nasc da lui coordinato portarono a compimento un’importante operazione sul litorale flegreo in collaborazione con la Criminalpol. Furono posti sotto sequestro, per un valore di circa 15 milioni di euro attuali, aree ed esercizi pubblici che “risultavano di fatto nella disponibilità di pregiudicati appartenenti al “clan dei Nuvoletta e dei Maisto”. La massiccia operazione si rese possibile grazie ad “una voluminosa informativa della Criminalpol” e ad “ampie relazioni redatte dalla Polizia Ambientale” (il cosiddetto Nasc guidato da Mario Scaramella).






LA SECONDA PUNTATA QUI
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