domenica 18 dicembre 2011

Albanella, Oreste Mottola racconta il mulino dei Giardullo




Considero i giornalisti manovali della parola, operai della parola. Il giornalismo diventa letteratura quando è fatto in modo passionale”.
(Marguerite Duras)

Non sarà bello come il Mulino Bianco della pubblicità televisiva, ma l’area intorno al Malnome, presenta numerosi elementi di suggestione. Il principale è quel mulino è circondato da un’atmosfera del tutto particolare. Ne ha macinata acqua, a volte mite e silenziosa, altre volte impetuosa e irruente. Ora tutto è governato dalla corrente elettrica. Per più di quattro secoli è stato ‘il molino del Marchese’ poi è diventato ‘di Giardullo’ perché nel 1922, quando l’Italia conobbe una marcia su Roma, Pietro Giardullo pagò a Ferdinando Maresca 40 mila lire del tempo. Fu così che il molino del Malnome diventò suo e poi della sua famiglia. Si può dire che questo è l’evento che meglio segnala la fine del feudalesimo ad Albanella. Uno dei simboli del potere che passava ad uno degli ‘uomini nuovi’ che da un settantennio a questa parte hanno cambiato il volto a queste terre. Quell mulino era già lì da quattro secoli, su una vecchia porta c’è segnata la data ML più qualcosa c’e già nel 1665, nel Tavolario Pinto, dove il mulino risulta debitamente contabilizzato. Ed una quasi secolare contesa tra alcune famiglie nobili (Moscati, Baccher, Stefanelly e i Costabile) non riesce ad essere risolta dal Tribunale Civile di Salerno. Pietro Giardullo decide di diventare mugnaio (contro il parere dei fratelli) e fu così che oggi come gli Scacerni del ‘Mulino del Po’’ di Bacchelli, i suoi discendenti possono raccontare stralci di storia economico-sociale attraverso la loro vita quotidiana. Il Fascismo è già arrivato e la battaglia del grano è cominciata. Ed il grano da lavorare aumenta. Il loro mulino è al centro della vita sociale. I piccoli eventi della vita popolare, le leggende, i ritmi delle campagne, vecchie storie che rispuntano quando meno te lo aspetti. I clienti arrivano da tutti i paesi vicini: soprattutto da Altavilla e Roccadaspide. Ma quello è un Cuorno (così è il nome vecchio) di fiume e l’acqua d’estate scarseggia. Quando l’acqua e si può macinare c’è si dà fiato alla tofa, ed il suono che esce da una grossa conchiglia marina, fa accorrere i contadini. Ma la modernità incombe: Nel 1937, un’annata particolarmente siccitosa, si decise d’installare il motore a scoppio e poi l’elettricità fornita dalla Sedac. Poi arriva la guerra ed il razionamento. Si mangiava con la tessera. ‘Ma non bastava. La gente aveva fame’, racconta oggi Giuseppe Giardullo. Fu così che il capostipite dell’attuale dinastia dei mugnai dovette combattere contro un’ordinanza di chiusura e conobbe l’onta del carcere. ‘Per fare bene alla gente dovevamo finanche prendere la corrente di contrabbando’, dice sempre Giuseppe. Furono momenti difficili ma il peggio arrivò il giorno dopo lo sbarco del 1943. Il molino si trovò in prima linea nei combattimenti tra tedeschi ed Alleati. E una bomba provocò la morte di Pietro e di sua figlia Margherita, che non aveva ancora nove anni. ‘Sono momenti che ho impresso nella mente come se fossero avvenuti ieri’, racconta Giuseppe. Poi arrivano gli anni del boom economico e si procederà ad una parziale opera di ‘industrializzazione’ del mulino. Sarà allora che verrà demolita un pezzo dell’arcata che conduceva l’acqua. ‘Se ci facessero trasferire l’impianto moderno, ci piacerebbe restaurare tutto’, aggiunge Annarita, la bionda giovane laureata della famiglia. Tutte le generazioni dei Giardullo lavorano al molino che conserva ancora le attrezzature vecchie di cinque secoli. Un vero museo all’aperto. Da visitare, approfittando della cortesia dei proprietari, e comprando qualche chilo della loro ottima farina.
LA CURIOSITA’
IL NOME DELLA ZONA. La zona dove sorge si chiama Cuorno (e non Corno, come oggi si dice) o Malnome’ Una risposta ce la fornisce la causa fu istruita nel 1850 dal Tribunale di Salerno. Al centro della contesa c’è proprio il mulino che oggi è dei Giardullo. Il proprietario di allora, don Giuseppe Costabile, tenta di riparare ad una procedura di pignoramento riparandosi dietro ai due nomi contrassegnano la zona ed il corso d’acqua che l’attraversa. Cuorno o Malnome’ La tecnica dilatoria regge poco e le stesse carte restituiscono la verità: fu un usciere dello stesso Tribunale che, nel 1812, infastidito da quel “Cuorno” lo ribattezzò, seduta stante, “Malnome”. Nei decenni successivi la disputa ebbe un nuovo capitolo, del tutto salomonico: la zona si chiamerà “Corno o Malnome”.
COM’ERA. ‘Si tratta di un’opera colossale. Contiene una più che solida ed imponente opera di di solidi massi di travertino squadrati, incassati con replicati grapponi di ferro impiombati, con solidi muri di accompagnamento dell’estesa struttura di pietra di taglio, platea e sottoplatea, portellone e stipiti di pietra di taglio a saracinesca, ed a tutta regola costruttoria, come opera moderna, osservandosi all’oggetto la cassa di legname nell’alveo del torrente. Inoltre un cosiddetto Acquaro a canale per la torre di carico a bottazzo (‘) che attraversa dalla origine della presa delle acque, cioè la Difesa del Ciglio. (..) Dal Bottazzo poi che si costruisce da un solido scavato… (…).  “Il molino macinante ad acqua è sito e posto nella Fiumara del Cuorno, dove si dice di Chiani Pagani e l’Ischia di Santa Margarita, quale al presente è disabitato ed imboscato, però vi è il suo acquidotto e forma di fabbrica per portare l’acqua in esso molino che con qualche spesa si può risarcire e coprire, e con facilità si può ridurre alla macina,
Cosa è cambiato dal 1665’ Ce lo racconta l’architetto Marano. “Allora era disabitato, oggi le due infelici camerette superiori sono abitate da un povero mugnaio. Allora il terreno circostante era imboschito oggi è coltivato. Allora le due camerette superiori erano scoperte, oggi sono coperte. Allora era inattivo per le avvenute degradazioni e per l’abbandono oggi è attivo e macina’.
Non sarà bello come il Mulino Bianco della pubblicità televisiva, ma l’area intorno al Malnome, presenta numerosi elementi di suggestione. Il principale è quel mulino è circondato da un’atmosfera del tutto particolare. Ne ha macinata acqua, a volte mite e silenziosa, altre volte impetuosa e irruente. Ora tutto è governato dalla corrente elettrica. Per più di quattro secoli è stato ‘il molino del Marchese’ poi è diventato ‘di Giardullo’ perché nel 1922, quando l’Italia conobbe una marcia su Roma, Pietro Giardullo pagò a Ferdinando Maresca 40 mila lire del tempo. Fu così che il molino del Malnome diventò suo e poi della sua famiglia. Si può dire che questo è l’evento che meglio segnala la fine del feudalesimo ad Albanella. Uno dei simboli del potere che passava ad uno degli ‘uomini nuovi’ che da un settantennio a questa parte hanno cambiato il volto a queste terre. Quell mulino era già lì da quattro secoli, su una vecchia porta c’è segnata la data ML più qualcosa c’e già nel 1665, nel Tavolario Pinto, dove il mulino risulta debitamente contabilizzato. Ed una quasi secolare contesa tra alcune famiglie nobili (Moscati, Baccher, Stefanelly e i Costabile) non riesce ad essere risolta dal Tribunale Civile di Salerno. Pietro Giardullo decide di diventare mugnaio (contro il parere dei fratelli) e fu così che oggi come gli Scacerni del ‘Mulino del Po’’ di Bacchelli, i suoi discendenti possono raccontare stralci di storia economico-sociale attraverso la loro vita quotidiana. Il Fascismo è già arrivato e la battaglia del grano è cominciata. Ed il grano da lavorare aumenta. Il loro mulino è al centro della vita sociale. I piccoli eventi della vita popolare, le leggende, i ritmi delle campagne, vecchie storie che rispuntano quando meno te lo aspetti. I clienti arrivano da tutti i paesi vicini: soprattutto da Altavilla e Roccadaspide. Ma quello è un Cuorno (così è il nome vecchio) di fiume e l’acqua d’estate scarseggia. Quando l’acqua e si può macinare c’è si dà fiato alla tofa, ed il suono che esce da una grossa conchiglia marina, fa accorrere i contadini. Ma la modernità incombe: Nel 1937, un’annata particolarmente siccitosa, si decise d’installare il motore a scoppio e poi l’elettricità fornita dalla Sedac. Poi arriva la guerra ed il razionamento. Si mangiava con la tessera. ‘Ma non bastava. La gente aveva fame’, racconta oggi Giuseppe Giardullo. Fu così che il capostipite dell’attuale dinastia dei mugnai dovette combattere contro un’ordinanza di chiusura e conobbe l’onta del carcere. ‘Per fare bene alla gente dovevamo finanche prendere la corrente di contrabbando’, dice sempre Giuseppe. Furono momenti difficili ma il peggio arrivò il giorno dopo lo sbarco del 1943. Il molino si trovò in prima linea nei combattimenti tra tedeschi ed Alleati. E una bomba provocò la morte di Pietro e di sua figlia Margherita, che non aveva ancora nove anni. ‘Sono momenti che ho impresso nella mente come se fossero avvenuti ieri’, racconta Giuseppe. Poi arrivano gli anni del boom economico e si procederà ad una parziale opera di ‘industrializzazione’ del mulino. Sarà allora che verrà demolita un pezzo dell’arcata che conduceva l’acqua. ‘Se ci facessero trasferire l’impianto moderno, ci piacerebbe restaurare tutto’, aggiunge Annarita, la bionda giovane laureata della famiglia. Tutte le generazioni dei Giardullo lavorano al molino che conserva ancora le attrezzature vecchie di cinque secoli. Un vero museo all’aperto. Da visitare, approfittando della cortesia dei proprietari, e comprando qualche chilo della loro ottima farina.
orestemottola@gmail.com