martedì 13 gennaio 2009

Alla Stazione di Paestum

Alla Stazione di Paestum

 di ORESTE MOTTOLA

"La Stazione ha scritto la storia. Ci sembrava di vivere come nel West o meglio ancora in un bel film d'avventura. Non ci annoiavamo tra i contrabbandieri, gli Indiana Jones, simpatici imbroglioni che arrivavano dal napoletano, i più grandi archeologi del tempo, Maiuri e Sestieri, Zanotti Bianco e Mario Napoli. O un folksinger ai suoi primi tentativi come Otello Profazio, anche lui figlio di un ferroviere, le sartine che venivano a piedi da Agropoli, le belle ragazze tedesche che facevano sognare e i ragazzi del nord Europa che poi sono diventati presidenti della Repubblica tedesca", così Michele Paradiso, figlio di "don Nicola", storico capostazione dal cuore grande, che pagava di tasca sua gli abbonamenti ad alcuni ragazzi che andavano a scuola ad Agropoli, e di Irma, che offriva un caffè a tutti, racconta gli anni Cinquanta e Sessanta vissuti tra Porta Sirena, la Cirio e l'area degli scavi che era tutta aperta e circondata solo da rigogliose siepi di rose rosse. A poche decine di metri dalla Stazione di Paestum c’è la casa natale di Sergio Vecchio. Scendi dal treno e, se sei attento, puoi già vedere. Però ti devi fermare. Guardare oltre le porte, farti prendere dalla curiosità. Ad un primo sguardo vedi un grande tavolo, delle sedie. E’ rivestita con i preziosi marmi di Calacatta, più pregiati del Carrara, ed ha i mobili in ricercatissimo stile classico. La più bella sala d’attesa di prima classe di una stazione ferroviaria italiana è a Paestum, nella Magna Graecia. Costruita nel 1936, per la visita del Re e di Mussolini , è stata più aperta solo ai viaggiatori d’altissimo rango. Le eccezioni, come vedremo, era quelle che faceva Nicola Paradiso, capostazione comunista che queste discriminazioni di censo e di portafoglio non le sopportava. Il salottino è delizioso. I viaggiatori passano distratti e non colgono il tesoro di gusto che è appena appena velato alla loro vista.

Non vi fecero certo accomodare Cesare Pavese che pure si fermò una notte prima di proseguire per il suo confino calabrese. Vi si sedettero Zanotti Bianco, alto due metri e magrissimo, e la Zancani Montuoro che l’accompagnava. Così come il principino Umberto. Questa è una delle meraviglie di questo luogo incantato che è la stazione ferroviaria a servizio dell’area archeologica. [1] Imbocchi l’ uscita e, dopo un viale alberato, a poco più di cinquanta metri si entra dentro a Porta Sirena. Settecento metri a piedi, dentro alla città antica in mano agli abitatori del Sette – Ottocento, toccando le antiche stalle e gettando uno sguardo a Villa Salati, eccoci davanti ai templi. A fare da angolo è “La Taverna delle Rose”, ieri vecchia taverna che rifocillava i carrettieri che dal Cilento si portavano a Salerno.

“I terreni davanti alla Basilica, a Nettuno ed al tempio di Cerere si sono coltivati a pomodori e carciofi fino all’ultima guerra” raccontano i vecchi pestani. "È come se un dio, qui, avesse costruito con enormi blocchi di pietra la sua casa": queste sono le parole di stupore misto ad ammirazione di Friedrich Nietzsche davanti ai templi dorici di Paestum. Centinaia di migliaia di visitatori ogni ogni anno hanno lo stesso pensiero. Voi però dovete comprare il biglietto. Girate a destra e camminate. Perchè in questa Stazione di oggi non si vendono più ticket ferroviari. Si trovano al “Bar Anna”. Tagliando alla mano possiamo tornare indietro. Passeggiata nella storia offerta da Trenitalia. Nella stazione c’è una mappa del percorso da fare, a cura della biro un viaggiatore che l’ha riprodotta, con il corredo di parole di rabbia.

 Da Porta Sirena c’è il collegamento ideale tra l’antica Paestum e la medioevale Capaccio. Ce lo spiegano gli studiosi locali. Dalla Stazione, guardando verso il monte, è bello vedere la trama del primo insediamento umano dopo l’abbandono della poderosa città dove greci, lucani e romani trovarono il modo, nonostante tutto, di avviare una convivenza.

Alla Stazione, nella vicina Sala buffet, quella delle “mense sibaritiche”, c’è tanto cemento, buttato anche a getti successivi. Grida proprio vendetta l’orrenda la ristrutturazione, databile a non più di una decina di anni fa, tentata dell’interno del buffet della stazione ferroviaria della più bella e meglio conservata città della Magna Graecia. Un cappotto di fattezze moderne messo a coprire, gli interni del primo approdo della migliore intellettualità europea ed americana che negli ultimi 120 anni. Attempati signori e signore, belle fanciulle vennero qui per ritrovare le suggestioni della classicità dell’antica Poseidonia. E delle rose pestane cantate dai poeti. Lo scempio è a cura di imprenditori malaccorti che avevano “comprato” da un ex ferroviere che, per ultimo, aveva la gestione di questo straordinario bene culturale.

Lo strazio fu fermato una decina di anni fa. Parzialmente in salvo sono le cantine sotterranee con le belle prese d’aria a bocca di lupo. In piena area 220, ovvero protetta dalla legge voluta da Umberto Zanotti Bianco per proteggere dall’ombra del “sacco edilizio” il cuore della città protetta dalle mura mastodontiche e, soprattutto, preservare, per una circonferenza di un chilometro attorno alle mura, i templi, le colonne, i santuarietti, i sepolcreti e quant’altro oggi, se non è stato asportato dai tombaroli, è ancora sotto terra.

A Paestum antica dove le costruzioni sono maestose, incombenti, gigantesche, elegantissime nella loro sobrietà ed essenzialità: suggeriscono il senso del misterioso, dell'imponderabile, del divino. A Santa Venere, alla Licinella, a Borgonuovo e Torre di Mare c’è invece l’edilizia dei condomini del turismo di massa. Un passo indietro e siamo di nuovo davanti al buffet della stazione ferroviaria dove negli anni ’30 arrivavano “gli innamorati” Umberto Zanotti Bianco, alto e secco, un Fassino del tempo, ed una distinta e claudicante signora napoletana, Paola Montuori. “Gettati” ad un lato ci sono due pezzi dell’antico acquedotto che da Trentinara portava l’acqua a Paestum. [2]

Turisti elegantemente vestiti, ferrovieri dalla divisa impeccabile si fanno fotografare davanti all’allora prestigiosa stazione di Pesto. L’immagine è degli anni Trenta, le finestre si aprono a “botte”. Sono storie degli anni Venti, Trenta.

Nel resto della piana di Capaccio – Eboli vanno avanti i lavori della Bonifica. Grandi e modernissime aziende agricole convivono con il latifondo. Poco lontano dalla Stazione, al Cafasso, i Bonvicino portano avanti un’avanzatissimo esperimento di capitalismo agricolo e di trasformazione dei prodotti. Le prime pesche sciroppate escono da qui. Straordinaria epoca gli anni Trenta per Paestum. Le rappresentazioni classiche che si svolsero a Paestum negli anni 1932, 1936 e 1938 conferiscono un tocco di mondanità al luogo. [3]Dal 1938 in poi la storia ha delle accelerazioni. C’è la guerra. L’8 settembre 1943 a Torre di Mare c’è il gruppo di soldati che daranno vita ad Operation Avalanche.

E dopo l’otto settembre a dirigere la Stazione arriva Nicola Paradiso. “Mio padre, fu licenziato per motivi politici nel 1936, quando il fascismo cadde fu riammesso al lavoro e venne spedito in una località allora classificata come "altamente malarica". Una Stazione punitiva. Ma la fine della Guerra segnò anche il riavvio del grande flusso turistico verso Paestum degli studiosi e degli appassionati e poi la grande invasione delle dattilografe teutoniche. A poche centinaia di metri di distanza si producevano le rinomate salse di pomodoro “super Cirio”. Fu un momento economico importante, costruttore di reddito per i contadini e di posti di lavoro per gli operai e che faceva immaginare le potenzialità economiche di un territorio dalla straordinaria feracità. “Mio padre, il capostazione – racconta Michele Paradiso - era "don Nicola" per il suo altruismo, quando non c'era ancora l'Ostello della Gioventù, ci faceva dormire anche i giovani studenti che arrivavano dall'Europa. Molti di loro sono diventati poi delle grosse personalità nei loro paesi e si sono ricordati dell'ospitalità ricevuta. Ci hanno poi mandato delle lettere di ringraziamento”.

C’è l’esempio di un presidente della Germania che venuto qui in visita ufficiale che volle rivedere il capostazione che l’aveva alloggiato e Giovanni Wilkens Desiderio che l’aveva accompagnato durante il suo soggiorno pestano. Perchè su quelle poltrone di pelle della prima classe ci potevano dormire in tre - quattro, stendendosi... “Mio padre, contravvenendo alle regole severe, apriva e metteva tutto a disposizione.”, testimonia Michele Paradiso. Il capostazione andava oltre: "Venivano dall'Agro Nocerino. Erano dei poveri disgraziati che per sopravvivere raccoglievano lumache dai nostri campi. Per raccogliere il loro quintale e mezzo di "maruzze" dovevano restare anche una settimana. La notte dormivano nella sala d'aspetto della seconda classe ed utilizzavano i bagni della Stazione. Mio padre consentiva tutto ciò perchè s'immedesimava nella loro condizione e mia madre, la mattina, gli portava il caffè”. Prima ancora c’è il lungo capitolo della “borsa nera” post – bellica: "Tutta la storia del contrabbando è passato attraverso la ferrovia. Loro si servivano dei vagoni bestiame. Dal sud si portava al nord l'olio d'oliva per averne in cambio della farina. I bidoni – aggiunge Michele Paradiso - li nascondevano sotto i respingenti dei treni. Era una guerra continua coi carabinieri e gli agenti daziari. Poi c'era uno scambio continuo con chi abitava attorno alla ferrovia. Non si scialava: "Agropoli aveva una vita economica grama. Oltre alla pesca, c'era solo un poco di terziario legato a scuole e pretura. Gravitava molto su Paestum. C'erano molte donne che venivano a piedi, camminando lungo i binari, da Agropoli con una cesta in testa. Dentro c'era ago, filo per cucire, pezzi di stoffa, bottoni, cerniere. E poi le alici sotto sale. Le chiamavano le "femminelle" perchè erano minute, basse di statura e camminavano sempre insieme. Si chiamavano Fiorina e Fiorinda. Una delle due aveva un figlio che faceva il palombaro e lavorava al recupero dei mezzi navali affondati durante lo sbarco del 1943. Il ragazzo morì all'altezza del "Raggio Verde" per l'esplosione di una mina.

Anche Angelina e Teresina, sempre di Agropoli, facevano la spola tra Paestum ed Agropoli. Un giorno, tra il 1960 ed il 1961, stavano tornando a casa, sempre camminando a piedi lungo la tratta ferroviarie. Anziane, erano stanche e non sentirono il treno che stava arrivando, all'altezza del ponte sul Solofrone finirono sotto tutte e due. Morirono. L'emozione fu grande perchè tutti le conoscevano”. Oltre alle “femmenelle” di Agropoli c’era poi Nunzio con la sua mappatella. Arrivava da Pompei.

Il personaggio andrebbe inserito di diritto nella nostra storia della mercanzia. Lui faceva il baratto con le famiglie dei contadini che la Riforma Fondiaria aveva da poco portato qui dal Cilento, da Pontecagnano e Montecorvino. Lui prendeva uova, olio, formaggi, grano ed in cambio vendeva i suoi tessuti”. Il “sindaco” di questo universo era “don Nicola Paradiso”.



[1] L‘ex Sala Buffet della Stazione dove Umberto Zanotti Bianco e la Paola Montuoro cenavano nelle serate d’inverno e la Stazione dove arrivavano, in treno, Giuseppe Ungaretti, Albert Camus, Rocco Scotellaro, Amedeo Maiuri e altri per visitare i templi, potrebbero divenire, con l’aiuto delle Istituzioni, un Archivio/Laboratorio della memoria del territorio, un’Officina d’Arte per la conservazione dei materiali di ieri e la costruzione del dorico di domani. La Stazione di Paestum come Ostello/Foresteria per artisti di tutto il mondo e come accoglienza e visibilità per l’eteroclita e parziale raccolta di materiali di Sergio Vecchio: foto dell’800 e dei più grandi maestri del novecento, incisioni, libri e documenti, artisti moderni e le più significative opere della sua produzione. Ed infine, un laboratorio di incisione e di ceramica presso il Casello 21, ora, come la stazione, in abbandono, e da restituire a nuova vita e destinazione d’uso.

[2] La “belle èpoque” c’era quando Rocco Barrella era il proprietario “Restaurant de la gare de Paestum” e nel “service de buffet tous le jours” si serviva “eaux de Nocera Umbra e di Serino” e c’era quel tocco di mondanità che s’addice alla meglio conservata città archeologica della Magna Graecia. “Nell’ampia ed ariosa sala del Buffet della Stazione di Paestum, vengono servite “mense sibaritiche” a tariffa veramente ragionevole, ed il viaggiatore, tra i discendenti dei Pestani che dirigono il Buffet, crederà di riconoscere la decantata ospitalità della Magna Graecia”, come leggiamo su una guida degli anni ’30.

[3] Il manifesto che pubblicizza gli eventi punta le luci sul tempio di Nettuno, l’esastilo più conservato dei templi pestani, posto in secondo piano rispetto ad un basolato e alle celebri rose; siglato Alicandri, è stampato presso le Industrie Grafiche Moneta di Milano. Nel 1932 visita Paestum Corrado Cagli. E’ l’epoca delle Panatenee. Paestum, registrò alcuni fra i più suggestivi rappresentazione mista, formata di diversi elementi, con grandi coreografie e musiche composte da Ildebrando Pizzetti. Non sono durate a lungo ma il loro simbolo è stato ripreso da alcuni anni a Pompei e Agrigento con un festival di musica e balletto di alta qualità, con cui ci si richiama alla squisita tradizione di una festa che attorno all’acropoli ateniese vedeva gare poetiche, musicali e di danza. A giudizio di quanti nel 1938 hanno assistito alle rappresentazioni di Paestum, l’impianto scenico fu vario e perfettamente adatto al grandioso e magico scenario naturale, mentre il sole, nell’ora del tramonto, arrossava con stranissimi riflessi la sommità delle immense colonne doriche e le trabeazioni dei due templi, accendendoli fantasticamente come fari giganteschi.

Alla Stazione di Paestum

oreste mottola

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orestemottola@gmail.com

 

"La Stazione ha scritto la storia. Ci sembrava di vivere come nel West o meglio ancora in un bel film d'avventura. Non ci annoiavamo tra i contrabbandieri, gli Indiana Jones, simpatici imbroglioni che arrivavano dal napoletano, i più grandi archeologi del tempo, Maiuri e Sestieri, Zanotti Bianco e Mario Napoli. O un folksinger ai suoi primi tentativi come Otello Profazio, anche lui figlio di un ferroviere, le sartine che venivano a piedi da Agropoli, le belle ragazze tedesche che facevano sognare e i ragazzi del nord Europa che poi sono diventati presidenti della Repubblica tedesca", così Michele Paradiso, figlio di "don Nicola", storico capostazione dal cuore grande, che pagava di tasca sua gli abbonamenti ad alcuni ragazzi che andavano a scuola ad Agropoli, e di Irma, che offriva un caffè a tutti, racconta gli anni Cinquanta e Sessanta vissuti tra Porta Sirena, la Cirio e l'area degli scavi che era tutta aperta e circondata solo da rigogliose siepi di rose rosse. A poche decine di metri dalla Stazione di Paestum c’è la casa natale di Sergio Vecchio. Scendi dal treno e, se sei attento, puoi già vedere. Però ti devi fermare. Guardare oltre le porte, farti prendere dalla curiosità. Ad un primo sguardo vedi un grande tavolo, delle sedie. E’ rivestita con i preziosi marmi di Calacatta, più pregiati del Carrara, ed ha i mobili in ricercatissimo stile classico. La più bella sala d’attesa di prima classe di una stazione ferroviaria italiana è a Paestum, nella Magna Graecia. Costruita nel 1936, per la visita del Re e di Mussolini , è stata più aperta solo ai viaggiatori d’altissimo rango. Le eccezioni, come vedremo, era quelle che faceva Nicola Paradiso, capostazione comunista che queste discriminazioni di censo e di portafoglio non le sopportava. Il salottino è delizioso. I viaggiatori passano distratti e non colgono il tesoro di gusto che è appena appena velato alla loro vista.

Non vi fecero certo accomodare Cesare Pavese che pure si fermò una notte prima di proseguire per il suo confino calabrese. Vi si sedettero Zanotti Bianco, alto due metri e magrissimo, e la Zancani Montuoro che l’accompagnava. Così come il principino Umberto. Questa è una delle meraviglie di questo luogo incantato che è la stazione ferroviaria a servizio dell’area archeologica. [1] Imbocchi l’ uscita e, dopo un viale alberato, a poco più di cinquanta metri si entra dentro a Porta Sirena. Settecento metri a piedi, dentro alla città antica in mano agli abitatori del Sette – Ottocento, toccando le antiche stalle e gettando uno sguardo a Villa Salati, eccoci davanti ai templi. A fare da angolo è “La Taverna delle Rose”, ieri vecchia taverna che rifocillava i carrettieri che dal Cilento si portavano a Salerno.

“I terreni davanti alla Basilica, a Nettuno ed al tempio di Cerere si sono coltivati a pomodori e carciofi fino all’ultima guerra” raccontano i vecchi pestani. "È come se un dio, qui, avesse costruito con enormi blocchi di pietra la sua casa": queste sono le parole di stupore misto ad ammirazione di Friedrich Nietzsche davanti ai templi dorici di Paestum. Centinaia di migliaia di visitatori ogni ogni anno hanno lo stesso pensiero. Voi però dovete comprare il biglietto. Girate a destra e camminate. Perchè in questa Stazione di oggi non si vendono più ticket ferroviari. Si trovano al “Bar Anna”. Tagliando alla mano possiamo tornare indietro. Passeggiata nella storia offerta da Trenitalia. Nella stazione c’è una mappa del percorso da fare, a cura della biro un viaggiatore che l’ha riprodotta, con il corredo di parole di rabbia.

 Da Porta Sirena c’è il collegamento ideale tra l’antica Paestum e la medioevale Capaccio. Ce lo spiegano gli studiosi locali. Dalla Stazione, guardando verso il monte, è bello vedere la trama del primo insediamento umano dopo l’abbandono della poderosa città dove greci, lucani e romani trovarono il modo, nonostante tutto, di avviare una convivenza.

Alla Stazione, nella vicina Sala buffet, quella delle “mense sibaritiche”, c’è tanto cemento, buttato anche a getti successivi. Grida proprio vendetta l’orrenda la ristrutturazione, databile a non più di una decina di anni fa, tentata dell’interno del buffet della stazione ferroviaria della più bella e meglio conservata città della Magna Graecia. Un cappotto di fattezze moderne messo a coprire, gli interni del primo approdo della migliore intellettualità europea ed americana che negli ultimi 120 anni. Attempati signori e signore, belle fanciulle vennero qui per ritrovare le suggestioni della classicità dell’antica Poseidonia. E delle rose pestane cantate dai poeti. Lo scempio è a cura di imprenditori malaccorti che avevano “comprato” da un ex ferroviere che, per ultimo, aveva la gestione di questo straordinario bene culturale.

Lo strazio fu fermato una decina di anni fa. Parzialmente in salvo sono le cantine sotterranee con le belle prese d’aria a bocca di lupo. In piena area 220, ovvero protetta dalla legge voluta da Umberto Zanotti Bianco per proteggere dall’ombra del “sacco edilizio” il cuore della città protetta dalle mura mastodontiche e, soprattutto, preservare, per una circonferenza di un chilometro attorno alle mura, i templi, le colonne, i santuarietti, i sepolcreti e quant’altro oggi, se non è stato asportato dai tombaroli, è ancora sotto terra.

A Paestum antica dove le costruzioni sono maestose, incombenti, gigantesche, elegantissime nella loro sobrietà ed essenzialità: suggeriscono il senso del misterioso, dell'imponderabile, del divino. A Santa Venere, alla Licinella, a Borgonuovo e Torre di Mare c’è invece l’edilizia dei condomini del turismo di massa. Un passo indietro e siamo di nuovo davanti al buffet della stazione ferroviaria dove negli anni ’30 arrivavano “gli innamorati” Umberto Zanotti Bianco, alto e secco, un Fassino del tempo, ed una distinta e claudicante signora napoletana, Paola Montuori. “Gettati” ad un lato ci sono due pezzi dell’antico acquedotto che da Trentinara portava l’acqua a Paestum. [2]

Turisti elegantemente vestiti, ferrovieri dalla divisa impeccabile si fanno fotografare davanti all’allora prestigiosa stazione di Pesto. L’immagine è degli anni Trenta, le finestre si aprono a “botte”. Sono storie degli anni Venti, Trenta.

Nel resto della piana di Capaccio – Eboli vanno avanti i lavori della Bonifica. Grandi e modernissime aziende agricole convivono con il latifondo. Poco lontano dalla Stazione, al Cafasso, i Bonvicino portano avanti un’avanzatissimo esperimento di capitalismo agricolo e di trasformazione dei prodotti. Le prime pesche sciroppate escono da qui. Straordinaria epoca gli anni Trenta per Paestum. Le rappresentazioni classiche che si svolsero a Paestum negli anni 1932, 1936 e 1938 conferiscono un tocco di mondanità al luogo. [3]Dal 1938 in poi la storia ha delle accelerazioni. C’è la guerra. L’8 settembre 1943 a Torre di Mare c’è il gruppo di soldati che daranno vita ad Operation Avalanche.

E dopo l’otto settembre a dirigere la Stazione arriva Nicola Paradiso. “Mio padre, fu licenziato per motivi politici nel 1936, quando il fascismo cadde fu riammesso al lavoro e venne spedito in una località allora classificata come "altamente malarica". Una Stazione punitiva. Ma la fine della Guerra segnò anche il riavvio del grande flusso turistico verso Paestum degli studiosi e degli appassionati e poi la grande invasione delle dattilografe teutoniche. A poche centinaia di metri di distanza si producevano le rinomate salse di pomodoro “super Cirio”. Fu un momento economico importante, costruttore di reddito per i contadini e di posti di lavoro per gli operai e che faceva immaginare le potenzialità economiche di un territorio dalla straordinaria feracità. “Mio padre, il capostazione – racconta Michele Paradiso - era "don Nicola" per il suo altruismo, quando non c'era ancora l'Ostello della Gioventù, ci faceva dormire anche i giovani studenti che arrivavano dall'Europa. Molti di loro sono diventati poi delle grosse personalità nei loro paesi e si sono ricordati dell'ospitalità ricevuta. Ci hanno poi mandato delle lettere di ringraziamento”.

C’è l’esempio di un presidente della Germania che venuto qui in visita ufficiale che volle rivedere il capostazione che l’aveva alloggiato e Giovanni Wilkens Desiderio che l’aveva accompagnato durante il suo soggiorno pestano. Perchè su quelle poltrone di pelle della prima classe ci potevano dormire in tre - quattro, stendendosi... “Mio padre, contravvenendo alle regole severe, apriva e metteva tutto a disposizione.”, testimonia Michele Paradiso. Il capostazione andava oltre: "Venivano dall'Agro Nocerino. Erano dei poveri disgraziati che per sopravvivere raccoglievano lumache dai nostri campi. Per raccogliere il loro quintale e mezzo di "maruzze" dovevano restare anche una settimana. La notte dormivano nella sala d'aspetto della seconda classe ed utilizzavano i bagni della Stazione. Mio padre consentiva tutto ciò perchè s'immedesimava nella loro condizione e mia madre, la mattina, gli portava il caffè”. Prima ancora c’è il lungo capitolo della “borsa nera” post – bellica: "Tutta la storia del contrabbando è passato attraverso la ferrovia. Loro si servivano dei vagoni bestiame. Dal sud si portava al nord l'olio d'oliva per averne in cambio della farina. I bidoni – aggiunge Michele Paradiso - li nascondevano sotto i respingenti dei treni. Era una guerra continua coi carabinieri e gli agenti daziari. Poi c'era uno scambio continuo con chi abitava attorno alla ferrovia. Non si scialava: "Agropoli aveva una vita economica grama. Oltre alla pesca, c'era solo un poco di terziario legato a scuole e pretura. Gravitava molto su Paestum. C'erano molte donne che venivano a piedi, camminando lungo i binari, da Agropoli con una cesta in testa. Dentro c'era ago, filo per cucire, pezzi di stoffa, bottoni, cerniere. E poi le alici sotto sale. Le chiamavano le "femminelle" perchè erano minute, basse di statura e camminavano sempre insieme. Si chiamavano Fiorina e Fiorinda. Una delle due aveva un figlio che faceva il palombaro e lavorava al recupero dei mezzi navali affondati durante lo sbarco del 1943. Il ragazzo morì all'altezza del "Raggio Verde" per l'esplosione di una mina.

Anche Angelina e Teresina, sempre di Agropoli, facevano la spola tra Paestum ed Agropoli. Un giorno, tra il 1960 ed il 1961, stavano tornando a casa, sempre camminando a piedi lungo la tratta ferroviarie. Anziane, erano stanche e non sentirono il treno che stava arrivando, all'altezza del ponte sul Solofrone finirono sotto tutte e due. Morirono. L'emozione fu grande perchè tutti le conoscevano”. Oltre alle “femmenelle” di Agropoli c’era poi Nunzio con la sua mappatella. Arrivava da Pompei.

Il personaggio andrebbe inserito di diritto nella nostra storia della mercanzia. Lui faceva il baratto con le famiglie dei contadini che la Riforma Fondiaria aveva da poco portato qui dal Cilento, da Pontecagnano e Montecorvino. Lui prendeva uova, olio, formaggi, grano ed in cambio vendeva i suoi tessuti”. Il “sindaco” di questo universo era “don Nicola Paradiso”.



[1] L‘ex Sala Buffet della Stazione dove Umberto Zanotti Bianco e la Paola Montuoro cenavano nelle serate d’inverno e la Stazione dove arrivavano, in treno, Giuseppe Ungaretti, Albert Camus, Rocco Scotellaro, Amedeo Maiuri e altri per visitare i templi, potrebbero divenire, con l’aiuto delle Istituzioni, un Archivio/Laboratorio della memoria del territorio, un’Officina d’Arte per la conservazione dei materiali di ieri e la costruzione del dorico di domani. La Stazione di Paestum come Ostello/Foresteria per artisti di tutto il mondo e come accoglienza e visibilità per l’eteroclita e parziale raccolta di materiali di Sergio Vecchio: foto dell’800 e dei più grandi maestri del novecento, incisioni, libri e documenti, artisti moderni e le più significative opere della sua produzione. Ed infine, un laboratorio di incisione e di ceramica presso il Casello 21, ora, come la stazione, in abbandono, e da restituire a nuova vita e destinazione d’uso.

[2] La “belle èpoque” c’era quando Rocco Barrella era il proprietario “Restaurant de la gare de Paestum” e nel “service de buffet tous le jours” si serviva “eaux de Nocera Umbra e di Serino” e c’era quel tocco di mondanità che s’addice alla meglio conservata città archeologica della Magna Graecia. “Nell’ampia ed ariosa sala del Buffet della Stazione di Paestum, vengono servite “mense sibaritiche” a tariffa veramente ragionevole, ed il viaggiatore, tra i discendenti dei Pestani che dirigono il Buffet, crederà di riconoscere la decantata ospitalità della Magna Graecia”, come leggiamo su una guida degli anni ’30.

[3] Il manifesto che pubblicizza gli eventi punta le luci sul tempio di Nettuno, l’esastilo più conservato dei templi pestani, posto in secondo piano rispetto ad un basolato e alle celebri rose; siglato Alicandri, è stampato presso le Industrie Grafiche Moneta di Milano. Nel 1932 visita Paestum Corrado Cagli. E’ l’epoca delle Panatenee. Paestum, registrò alcuni fra i più suggestivi rappresentazione mista, formata di diversi elementi, con grandi coreografie e musiche composte da Ildebrando Pizzetti. Non sono durate a lungo ma il loro simbolo è stato ripreso da alcuni anni a Pompei e Agrigento con un festival di musica e balletto di alta qualità, con cui ci si richiama alla squisita tradizione di una festa che attorno all’acropoli ateniese vedeva gare poetiche, musicali e di danza. A giudizio di quanti nel 1938 hanno assistito alle rappresentazioni di Paestum, l’impianto scenico fu vario e perfettamente adatto al grandioso e magico scenario naturale, mentre il sole, nell’ora del tramonto, arrossava con stranissimi riflessi la sommità delle immense colonne doriche e le trabeazioni dei due templi, accendendoli fantasticamente come fari giganteschi.

L'autore è ORESTE MOTTOLA orestemottola@gmail.com 

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Storia economica della moderna Capaccio vista attraverso gli uomini della sua Banca

 

Manlio De Maria, il notaio

 

"Pensiamo al grande, perché al piccolo già ci siamo", questo motto era la regola di vita del notaio Manlio De Maria. Proprio questa sua filosofia rese possibile la nascita della prima Cassa Rurale ed Artigiana di Capaccio, proprio quella che è, adesso, la Banca di Credito Cooperativo. Ma già diversi decenni prima, come si legge in libretto del giudice Baldassarre Coccorullo: "Il notar De Maria con la sua intelligente operosità, donò a Capaccio ([1]) i benefici dell'energia elettrica, foriera di benessere e progresso". In via S. Agostino, 36, nel cuore della vecchia Capaccio, De Maria cominciò a dare le fondamenta ad uno dei più importanti istituti creditizi campani. In quella grande e moderna casa c'era anche il suo studio notarile. Ex podestà, ispettore onorario delle belle arti, frequentatore del bel mondo aristocratico che girava intorno a Paestum, fu uomo di cultura (praticò il teatro e suonava molto bene il pianoforte), il notaio De Maria aveva anche uno spiccato ingegno pratico. "Mio padre fu sempre un precursore, in perenne anticipo sui tempi. Aveva grande dimestichezza finanche con l'ingegneria", racconta la figlia Giuseppina. "Aveva ideato un citofono senza fili per collegare lo studio con la casa, così come aveva adattato una radio che aveva reso potente come quella che usavano i grandi esploratori. Da Roma, fece venire l'ingegner Tanzarella, per costruire una modernissima concimaia brevettata". Poi venne la guerra. E l'episodio centrale fu lo sbarco alleato dell'8 settembre 1943, sulle spiagge di Paestum, quasi sotto casa. L'Italietta fascista si sfalda. Finisce così l'epoca dei balletti tra i templi, delle Panatenee, le rappresentazioni di tragedie antiche, delle visite del principe Umberto e delle sfilate delle giovani contadinotte abbigliate col costume tradizionale. Nella storia di Capaccio adesso entrano, di prepotenza, le lotte contadine e bracciantili, che ebbero come epicentro proprio quella stessa campagna pestana dove erano arrivati i soldati del generale Alexander. Furono anche, per dirla con le parole del poeta Giuseppe Liuccio: "storie belle di battaglie antiche". Il notaio De Maria, che pure votò per la monarchia, s'adattò subito ai tempi nuovi. "Era molto amico di Gaetano Paolino, il padre di Salvatore Paolino. L'aiutò a costituire le cooperative dei contadini che andarono all'assalto dei latifondi. Ed al movimento cooperativo guardò sempre con favore". I vasti territori nei dintorni di Paestum diventarono, dopo le operazioni di bonifica, così testimonia lo scrittore Guido Piovene: "una campagna divenuta fertile. Un misto di remota dolcezza virgiliana e di dolcezza tropicale". Ma solo pochi anni prima il "Lago Pestano" o "palude lucana" erano vicino alle mura di Paestum, poco oltre c'era il "Lago Grande". La regolazione del flusso, e del ristagno delle acque, creò un mondo nuovo. Le necessità finanziarie del mondo dei contadini e degli artigiani del tempo si fecero ancora di più pressanti. "Mio padre attraverso la gestione delle cambiali se ne rendeva conto. Quante volte - racconta la figlia - si sentì chiedere aiuto e non potette adoperarsi! E, com'era suo costume, si mise a studiare il problema. Arrivò alla conclusione che urgeva dare vita ad una piccola banca locale che potesse sopperire, nella trasparenza, a quei bisogni". Lo scrisse nel manifesto con il quale annunciò il suo proposito: "Ho fiducia che non mancherà alla presente iniziativa l'appoggio dell'operosa classe degli agricoltori e degli artigiani della nostra fiorente città". E così fu. Per portare a termine questo suo proposito mobilitò tutte le sue amicizie. "Ebbe tutte le complesse autorizzazioni necessarie per l'apertura della Banca, semplicemente, servendosi dei suoi ex compagni di studi alla Badia di Cava". In questa fase pionieristica tutto si svolse all'interno del suo studio notarile. Accanto a lui ebbe uomini come Giovanni Di Sirio, Candido Arenella, Antonio Nicodemo e Attilio Fasano. Alla presidenza fu allora chiamato l'avvocato Granato. Il notaio rimase nell'ombra, non avendo voluto rivestire alcuna carica. Il primo sportello fu collocato in un negozietto di via Costabile Carducci e poi si passò proprio nel palazzo dei Granato. L'esplosione produttiva della pianura pestana determinò la necessità di spostare l'attività verso il piano. De Maria credette sempre allo sviluppo agricolo, turistico e culturale della nostra pianura. Per questo volle salvare dalle mani degli speculatori la vecchia residenza dei vescovi pestani. E' quel grande edificio tardo - settecentesco, con qualche eco vanvitelliana, posto accanto alla chiesa paleocristiana, dove ha anche sede l'azienda di soggiorno, che oggi tutti conoscono come Palazzo De Maria. Qui, ma è un'altra storia, dove è cominciata l'avventura della cristianità tra Sele e Cilento.

La banca si consolida con Enrico Granato

La presidenza del notaio De Maria durò un giorno solo. Il suo compito fu quello di dare l'avvio alle attività della Cassa Rurale. Il bastone del comando, o meglio, l'onere della ciclopica azione di dare, ogni giorno, testa e gambe all'impresa che si proponeva di riscattare contadini ed artigiani di Capaccio e Paestum da una condizione assai difficile, passò subito sulle spalle dell'avvocato Enrico Granato. Sei figli, di modi cordiali, d'indole assai pratica, dalla ricca inventiva, Granato faceva il civilista ma era anche attivo nell'industria boschiva e nell'edilizia. E' ancora ricordato per la sua battaglia affinché Capaccio abbia una scuola media. Gli fu sempre chiaro come, senza lo sviluppo dell'istruzione, non ci potesse essere avanzamento economico. "De Maria era un'autorità morale indiscussa ma senza l'impegno di Granato la banca non si sarebbe avviata", racconta il figlio. La prima sede era a Capaccio capoluogo, nel Palazzo dei Granato, tra le vie Vaudano e Guazzo. Alla direzione c'era Roberto Ferrentino, colui che successe a Salvatore Paolino come sindaco di Capaccio. L'unico impiegato era il giovanissimo Amodio Francesco Patella, che gli anni successivi diventerà un apprezzato veterinario e poi sarà sindaco del paese. "Le nostre uniche attrezzature erano una calcolatrice a mano, che funzionava con delle sfere", ricorda Patella. I primi anni d’attività della Cassa Rurale furono molto difficili. "Si trattava di misurarsi con le esigenze di una stentata economia post bellica che faticava ad ingranare", ricorda. L'istituto bancario non aveva ancora una propria sufficiente capitalizzazione. Il primo punto di svolta fu nell'assistenza ai tanti piccoli proprietari pestani che vennero espropriati dei pezzi di terreno necessari al passaggio del secondo binario della Ferrovia. "Non so come fece e quali leve usò. Ma si dette talmente da fare che i pagamenti per gli indennizzi degli espropri passarono quasi tutti attraverso di noi. E quella raccolta - dice ancora Patella - ci diede una marcia in più...". Ma dopo due, tre anni arriverà un brusco stop. Nei dintorni di Paestum due clienti importanti, noti commercianti d’elettrodomestici, lasciano uno "scoperto" da cinque milioni di lire. Eccessiva fiducia? Gestione malaccorta? La cifra, per i tempi e per le dimensioni che aveva allora la banca, ne appanna la credibilità, genera apprensione e determina le dimissioni di qualche dipendente. Urgeva chiudere il buco, in gioco c'era la sopravvivenza stessa dell'impresa. "Mio padre ci rimise anche dei soldi suoi", rivela oggi il figlio, ed un'altra parte fu recuperata attraverso la provvidenziale maturazione di buoni fruttiferi che erano stati "accesi" negli anni precedenti. Fu una storia che si trascinò per anni ma che non impedì l'ascesa della Cassa Rurale. Negli anni Sessanta la società e l'economia si mettono a correre in maniera tumultuosa. La svolta storica della liberazione del latifondo, è la tesi dell'economista Luigi Gorga, fa da propulsore al successivo boom dell'economia turistico - alberghiera. "Più case, più alberghi, più commercio, più produzione agricola. Lo sviluppo dell'economia locale - spiega Gorga - si è sempre caratterizzato in termini quantitativi". Comincia l'era dei campeggi nei quindici chilometri della zona litoranea e ci si mette alle spalle la gloriosa storia dell'osteria di Ciccio D'Anzilio a Foce Sele e dell'Autostello dell'Aci vicino alle mura di Paestum. Il pioniere di quella fase è "Nonna Sceppa", successivamente verranno il "Clorinda" di Giovanni Di Sirio ed il "Nettuno" di Lucio Capo. Da quel momento in poi Capaccio - Paestum diventa una delle principali piazze economiche della Campania. Diventa anche una "città nuova", di quelle dove è prevalente l'arrivo di genti provenienti da diversi luoghi, e qui, com’evidenziano i sociologi, c'è il dato comune del carattere particolare degli abitanti, con la prevalenza delle personalità sveglie ed operose. Ed il fulcro di questa vera e propria nuova frontiera è la "vecchia" Cassa Rurale fondata dal notaio De Maria e guidata dall'avvocato Granato. Diventano clienti della Banca anche alcuni noti vip dell’economia provinciale. Ci sarà Gagliardi, presidente della Salernitano Calcio, il figlio di Filippo Gagliardi, l’emigrante di Montesano sulla Marcellana, che partito da semplice muratore aveva fatto fortuna in Venezuela. Arricchitosi con il petrolio, la lottizzazione e la vendita dei terreni in Sud America è pronto a riscattare la sua misera condizione di un tempo con azioni eclatanti. Fondamentale è l'apporto dato, in questa fase, da Rosario Pingaro, don Rosario per tutti, riconoscimento all'imprenditore che fonda, non lontano dall'area archeologica, la fabbrica che poi cederà a Cirio. Finisce la fase eroica della banca ed inizia quella del consolidamento di una delle più importanti realtà creditizie campane.

Il pioniere, Rosario Pingaro

Un vero pioniere, un grande imprenditore, sempre in anticipo sui tempi. Questo è stato Rosario Pingaro, presidente della Cassa Rurale di Capaccio dal 1965 al 1985. Gran parte delle realizzazioni edilizie di Capaccio Scalo portano la sua firma. "Era un vulcano, non stava mai fermo, difficilissimo stargli dietro", ricorda il figlio Vincenzo, ingegnere. "La sua religione era il lavoro. All'infuori di questo non vedeva altro". Fu anche un vero e proprio self made man, un uomo che si era fatto tutto da solo. Nato a Fonte di Roccadaspide nel 1911, era l'ultimo figlio di otto fratelli e sorelle. Il padre fu emigrante in Argentina, ma ritornava spesso a casa, ed appena l'età lo permetteva si prendeva un figlio e lo portava con sè fino a sistemarlo adeguatamente nella fertile terra argentina. Le due femmine, con il piccolo Rosario, rimasero in Italia. Il ragazzo ebbe un'istruzione sommaria, fino alla terza elementare. "Per la mentalità del tempo - racconta il figlio Vincenzo - bastava saper leggere, fare la propria firma e cavarsela con le quattro operazioni aritmetiche". Sotto le armi il giovane Rosario s'accorge che non ha un'istruzione sufficiente. Fu così si rimise a studiare da privatista, per corrispondenza, e sostenne tutti i vari esami. Alle soglie delle superiori dovette però arrendersi. Quando tornò a casa il lavoro dei campi lo riassorbì e non ci fu il tempo di tornare ad applicarsi sui libri. I problemi ora erano altri e così cominciò a prendere altro terreno in fitto per coltivarlo. L'obiettivo era quello di avere un'azienda agricola più grande. Andrà, come vedremo, molto più lontano. Nel 1957, a causa delle grandi difficoltà nel vendere il latte prodotto nell'azienda Pingaro ebbe l'intuizione di impiantare una piccola centrale per pastorizzare ed imbottigliare il latte per uso alimentare. Nel 1963 Pingaro trasferì la sua attività a Capaccio Scalo, l'ampliò e cominciò ad usare anche le buste di cartone. Alle soddisfazioni economiche fecero da contrappeso le amarezze dei due figli persi, in poco più di un decennio, in circostanze tragiche. Nel 1970 costruì lo stabilimento che è stato poi ceduto alla Parmalat. "In quel periodo ebbe un serio incidente automobilistico. L'azienda aveva, a seguito degli investimenti per la costruzione, qualche difficoltà finanziaria e dalle stalle non arrivava latte di buona qualità per i tempi lunghi di trasporto. I refrigeranti non c'erano. La concorrenza era troppo spietata e preferimmo passare la mano", racconta l'ingegnere Vincenzo. Ma l'uscita dal settore alimentare non frena la voglia d'imprenditoria di Rosario Pingaro. Fonda la Later Cap (Laterizi Capaccio) che si impianta a Campagna (in società con la Rdb) solo perchè non troverà a Capaccio un suolo a prezzi abbordabili. Nel dopoterremoto altra iniziativa ad Oliveto Citra, dove fonda le "Terrecotte del Sele". Nel 1986 passa a Battipaglia dove avvia l'Aristea, piatti e bicchieri monouso in plastica, oltre 260 addetti tra diretti ed indotto. "E' una delle prime cinque aziende del settore a livello nazionale", sottolinea il figlio.

Il gioco di squadra. "Nessuno più di lui ha mai creduto tanto nell'importanza della cooperazione. Anche nelle sue aziende ha sempre voluto altri soci. Ha sempre predicato per avere associazioni, cooperative, società. Non ha mai creduto all'utopia della tradizione cilentana che vede col fumo negli occhi ogni forma di cooperazione tra pari. L'individualismo non gli ha mai appartenuto. La sua soddisfazione era quella di dare il via ad iniziative che fossero poi capaci di camminare da sole".

Nella banca. Rosario Pingaro approda all'interno della Cassa Rurale: "Voluto dall'avvocato Granato, che lo fece diventare suo vice", racconta il figlio. C'è un'intera comunità in movimento. La bonifica è finita, l'agricoltura capaccese comincia a diventare redditizia, sullo sfondo c'è lo straordinario boom economico italiano degli anni Sessanta e a Paestum il turismo diventa un'altra voce importante dell'economia locale. La sua ricetta era semplice: "La banca doveva aiutare chi aveva buone idee e dimostrava serietà d'intenti e non dare i soldi a chi già ce li aveva. Sulla consistenza del patrimonio prevalevano le valutazioni sulle capacità imprenditoriali. Tante solide realtà aziendali di oggi sono state alimentate dai primi soldi avuti in prestito dalla Cassa Rurale gestita con questa sua idea". Anche per questo la nostra banca è diventata la maggiore delle banche di credito cooperativo campane.

Antonio Palmieri: la nuova sede a Pagliara e la svolta manageriale

Antonio Palmieri è un protagonista delle vicende della Banca di Credito Cooperativo di Capaccio da quasi quarant'anni: aveva da poco compiuto 21 anni, la maggiore età d'allora, quando venne eletto, nel 1965, nel consiglio d'amministrazione, nell'ultimo anno di presidenza Granato. "Un'esperienza breve. Solo una prima presa di contatto con la realtà del credito locale. Lasciai, a causa della mia inesperienza, dopo pochi mesi".

Antonio Palmieri, classe 1945, dal 1988 ha rivoluzionato l'economia rurale della Piana del Sele mettendo il turbo alla produzione bufalina. La svolta nella produzione della mozzarella di qualità, quella che sta sulle tavole dei vip dello spettacolo e dei potenti della terra, è iniziata partendo dalle terre di Vannulo, tra il Rettifilo, la ferrovia e la Statale 18. Sono i suoi titoli di merito, insieme con il grande pregio ambientale e culturale della sua attività aziendale. La sua carriera pubblica comincia dal Consorzio di Bonifica di Paestum, l'istituzione che ha guidato la rivoluzione agricola della zona, già a partire dai primi anni Sessanta. Il successivo ingresso negli organismi direzionali della banca è naturale. Alla presidenza è eletto nel 1987, succedendo a Rosario Pingaro. "Avevo cominciato stando nel consiglio d'amministrazione con l'animare la battaglia affinché la Banca avesse una sede propria, da costruire vicino al Consorzio di Bonifica. Questo mi mise in contrasto con Pingaro, che voleva una sede più modesta, magari in un edificio già pronto. Si crearono così dei gruppi, una vera e propria divisione".

Il braccio di ferro va avanti per quasi tre anni e fu Palmieri a spuntarla. La nuova sede sarebbe nata vicina al Consorzio e a progettarla sarebbe stato un grande architetto: Nicola Pagliara. "L'intento era di dare alla nuova sede un forte valore simbolico. Il risparmiatore doveva - dice Palmieri - percepire la grande solidità della banca". Come fu scelto Pagliara? "Pagliara aveva costruito già a Santa Venere la bella casa di Nino Salati. E fu proprio quest'ultimo a proporlo. Ci informammo su chi fosse e tutte le referenze furono più che lusinghiere. Nella delibera d'incarico decidemmo pure di lasciargli la massima libertà progettuale". La costruzione cominciò nei primi anni Ottanta. Alla presidenza c'è ancora Rosario Pingaro. "I lavori andavano però a rilento", constata Palmieri. L'ascesa alla presidenza di Palmieri fu favorita da questo? "La questione della sede ruppe degli equilibri consolidati. Si erano ormai formati - ricorda Palmieri - due gruppi distinti". Un'altra discussione si accese sulla richiesta di Palmieri di avere una direzione più"professionalizzata" della Banca. "Si procedeva, quando si doveva concedere il credito, sulla base della conoscenza ad personam. Non avevo niente contro il direttore Arenella, persona di specchiata onestà. Io sostenevo però che la crescita della banca, come la crescente complessità dell'economia locale, c'imponesse di dotarci di un professionista esterno con competenze più diversificate". Fu così che Pietro Vecchione, già all'ufficio fidi della sede centrale del Banco di Napoli, fu prima affiancato ad Arenella e successivamente ne prese il posto. Nel 1987 c'è l'avvento alla presidenza di Antonio Palmieri e con l'allora direttore Pietro Vecchione venne dato il via alla svolta gestionale. "Abbandonammo la gestione familiare e paternalistica che fino a quel momento aveva permeato la banca. Pur permettendogli di crescere in maniera sana quella strategia aziendale era inadeguata ai tempi. Introducemmo così anche la valutazione sulle potenzialità del cliente guardando al patrimonio ed al fatturato. Il tempo ci ha dato ragione. La svolta manageriale, allora d'avanguardia, ha poi caratterizzato tutta l'attività della Banca". Nel 1991 Antonio Palmieri lascerà volontariamente la presidenza della Banca. "Durante il mio primo anno di presidenza avevo costruito il caseificio Vannulo. L'azienda cresceva a vista d'occhio e già reclamava tutto il mio tempo. Avevo i figli piccoli e non gli stavo vicino. Raramente potevo mangiare insieme a loro. Così scelsi: andai via dalla Banca. Io poi sono che alle poltrone non ci tiene: anche al Consorzio di Bonifica lasciai anzitempo. Sono stato oggetto di molte dietrologie, ma voglio rassicurare tutti: mi è bastato vedere le mie idee diventare realtà".

 



[1] La città di Capaccio,  appartiene alla provincia di Salerno e dista 52 chilometri da Salerno, capoluogo della omonima provincia. Conta 20.238 abitanti (Capaccesi) e ha una superficie di 112,0 chilometri quadrati per una densità abitativa di 180,70 abitanti per chilometro quadrato. Sorge a 419 metri sopra il livello del mare. Demografia: Il comune di Capaccio ha fatto registrare nel censimento del 1991 una popolazione pari a 18.503 abitanti. Nel censimento del 2001 ha fatto registrare una popolazione pari a 20.238 abitanti, mostrando quindi nel decennio 1991 - 2001 una variazione percentuale di abitanti pari al 9,38%. Gli abitanti sono distribuiti in 6.109 nuclei familiari con una media per nucleo familiare di 3,31 componenti. Geografia: Il territorio del comune risulta compreso tra i 0 e i 1.087 metri sul livello del mare. L'escursione altimetrica complessiva risulta essere pari a 1.087 metri. Cenni occupazionali: Risultano insistere sul territorio del comune 386 attività industriali con 1.191 addetti pari al 25,38% della forza lavoro occupata, 659 attività di servizio con 1.245 addetti pari al 26,53% della forza lavoro occupata, altre 603 attività di servizio con 1.545 addetti pari al 32,92% della forza lavoro occupata e 54 attività amministrative con 712 addetti pari al 15,17% della forza lavoro occupata. Risultano occupati complessivamente 4.693 individui, pari al 23,19% del numero complessivo di abitanti del comune.