martedì 28 settembre 2010

La vera storia di Mario Scaramella. Dagli Alburni a Londra, passando per il Suvio


Inserito il 27 settembre 2010 alle 22:12:00 da webmaster. IT - Inchiesta

Nella rubrica WatchDog ci siamo posti l’obiettivo di monitorare il mondo dell’informazione evidenziando, laddove ne verifichiamo l’esistenza, distorsioni, manipolazioni e falsificazioni. Fedeli a questa linea abbiamo deciso di rivisitare una vicenda avvenuta ormai diversi anni fa ma che ci pare un esempio emblematico di come i professionisti della carta stampata non dovrebbero operare.

Protagonista, suo malgrado,il dottor Mario Scaramella, che dal dicembre 2003 fino all’aprile 2006, è stato collaboratore a tempo parziale della Commissione bicamerale d’inchiesta concernente il “dossier Mitrokhin” e l’attività d’intelligence italiana.
Scaramella, come molti ricorderanno, balzò agli “onori” della cronaca nel novembre 2006, ben sette mesi dopo la chiusura della Commissione, in concomitanza con l’avvelenamento e la morte a Londra del defezionista russo, ex agente del Kgb, Aleksandr Litvinenko. Costui era stato uno dei principali collaboratori e fonte di Scaramella durante i lavori della Commissione ed il primo novembre 2006, giorno del suo tragico avvelenamento con polonio 210 avvenuto nella mattinata presso l’hotel Millenium, aveva consumato nel primo pomeriggio un’ultima colazione proprio con il consulente napoletano al sushi bar Itsu di Piccadilly Circus.
Dopo la morte di Litvinenko la stampa italiana si scatenò contro Scaramella, colpendo e delegittimando con lui tutto l’operato della Commissione Mitrokhin che era stata presieduta dall’allora senatore Paolo Guzzanti. Una campagna inusitata per virulenza e accanimento. Da allora il nome di Mario Scaramella, come abbiamo ricordato sempre su «LiberoReporter» nel numero di aprile-maggio 2010, è oggetto di scherno e ironie.
Tutto era cominciato in quei giorni cupi di tre anni fa.

«Arrivò a sequestrare edifici abusivi, alberghi, ristoranti, bar, un caseificio e persino [!?] un ippodromo clandestino al boss Nuvoletta». Con queste parole, in un articolo dal tono sprezzante e con punte di ironia goffa, Claudio Gatti su «Il Sole 24 Ore» del 10 e 11 gennaio 2007 descriveva, riprendendo un testo della giornalista Rosaria Capacchione de «Il Mattino» di Napoli, un passaggio della carriera “farlocca”, per lui e per tantissimi altri, di Mario Scaramella.
Se questo è l’approdo dell’inchiesta del giornalista del Sole allora qualcosa non torna. Segnalare con disprezzo un'operazione riuscita contro la criminalità organizzata, per dire ai lettori guardate a che punto è arrivato questo millantatore incallito di Scaramella, è mortificante per tutti coloro i quali sono ancora dotati di qualche grammo di materia grigia e ci tengono a tenerselo ben stretto. E soprattutto lascia intravedere una sorta di partigianeria investigativa che riduce a zero il lavoro di un professionista della penna.
Per questo «LiberoReporter» si è impegnato a fondo per cercare di capire quale fosse la verità dietro queste vicende senza condizionamenti e pregiudizi, chiedendosi il perché contro quest’uomo, si sia scatenato un vero e proprio inferno mediatico.
Scaramella è stato vittima di un sistema più grande di lui o di un sistema che lo ha abbandonato in nome di chissà cosa?
La nostra inchiesta sull'ex consulente della Commissione Mitrokhin parte da qui, dall’origine del suo discredito mediatico. Noi cercheremo per quanto possibile di ristabilire la verità dei fatti.

Biografia non autorizzata
Come detto, nel gennaio 2007 sul quotidiano economico di Confindustria uscì una “biografia non autorizzata” in due puntate a cura di Claudio Gatti (Incredibile ascesa del commissario Scaramella, «Il Sole 24 Ore», 10 gennaio 2007; Il gioco di Scaramella tra il Kgb e la Cia, «Il Sole 24 Ore», 11 gennaio 2007). Va ricordato che proprio la mattina del 10 gennaio presso il Tribunale di Roma era prevista l’udienza del riesame relativa a Mario Scaramella, in carcere dal 24 dicembre 2006 accusato di calunnia nei confronti di Aleksandr Talik, ex ufficiale ucraino del Kgb, che viveva da clandestino in Italia. Il reato contestato risaliva all’ottobre 2005 e quindi era soggetto, anche in caso di eventuale condanna, a indulto. Ma Mario Scaramella resterà in carcere fino a giugno 2007, quindi trascorrerà altri otto mesi agli arresti domiciliari fino a febbraio 2008.
Quei due articoli del Sole, di oltre ventisettemila battute, ancora oggi sono fonte inesauribile di ispirazione per tutti coloro i quali si avvicinano alle vicende della Mitrokhin. Un vero e proprio testo di riferimento che ha finito per moltiplicare e diffondere ovunque un’immagine deformata e non certo lusinghiera di Mario Scaramella.
Ecco alcuni esempi emblematici, fra i tanti che si possono fare, che prendono spunto proprio dal lavoro di Gatti:
«Ma a smascherare Scaramella non sarà il Parlamento italiano. Saranno tre giornalisti (Bonini e D’Avanzo di «Repubblica», Claudio Gatti del «Sole24ore»), Scotland Yard e i giudici di Roma» (Marco Travaglio, La commissione più pazza del mondo, «l’Unità», 17 novembre 2007);
«[Scaramella] il peracottaro napoletano, che da anni truffava enti pubblici e università con curriculum farlocchi» (Marco Travaglio, «l’Unità», 24 maggio 2007).
Vediamo quindi ora di analizzare da vicino ciò che Gatti scrisse in quegli articoli.
All’inizio del suo primo pezzo il giornalista affermava:
«“Il Sole 24 Ore” ha trascorso un mese alla ricerca dei fatti e (possibilmente) della verità su Mario Scaramella. Conclusione: Paolo Guzzanti [già presidente della Commissione Mitrokhin] è solo l’ultima di una lunga serie di persone che per 18 anni gli hanno permesso di girare il mondo spacciandosi per quello che non è mai stato, cioè commissario, magistrato antimafia, professore universitario, responsabile di un’organizzazione intergovernativa ed esperto di intelligence sovietica.»
Gatti e il Sole dunque, impiegarono un mese di ricerche per ricostruire la vicenda professionale ed umana di Mario Scaramella, con l’intento di giungere “(possibilmente)” alla verità. Da allora sono trascorsi più di tre anni. Noi di «LiberoReporter» abbiamo dunque avuto sicuramente più tempo a disposizione. Abbiamo potuto cercare documenti e prove, reperti sui quali siamo stati in grado di operare meticolose verifiche e riscontri.

Fatti, non parole
Nell’incipit dell’articolo del 10 gennaio 2007, già citato, è elencata una lunga serie di “titoli” di cui, a detta del giornalista, Scaramella si sarebbe appropriato indebitamente e grazie a queste millanterie sarebbe riuscito ad accreditarsi negli ambienti più disparati.
Secondo Gatti la tecnica di Scaramella consisteva nell’«utilizzare ogni singolo contatto o evento [si presume falso o di scarsa rilevanza] per accreditarsi e legittimarsi con quello successivo in una straordinaria catena autoreferenziale senza limiti geografici». Un risultato anche minimo, quindi, ottenuto con l’astuzia, usato da Scaramella come trampolino per il passo successivo. Gatti nel suo incalzante racconto delle straordinarie e mirabolanti avventure di Scaramella, non può esimersi dall’ammettere alcuni risultati conseguiti da quest’ultimo in qualcuno dei ruoli, a detta del giornalista del Sole, usurpati. Ma Gatti lo fa con incredibile sprezzo del pericolo, alimentando la campagna mediatica senza precedenti a cui era da settimane sottoposto Scaramella. Una vera e propria character assassination.
Gatti ad un certo punto del suo racconto, definisce letteralmente “bravate” le azioni compiute da Scaramella, azioni che, ad esempio, avevano oggettivamente colpito nel 1990 interessi e beni della mafia operante sul litorale domizio-flegreo, area compresa tra Gaeta e Pozzuoli.
Il giornalista del Sole, che sembra non fermarsi di fronte a nulla, disegnando situazioni degne di Ionesco, finisce, a ben guardare, per attribuire a Scaramella capacità addirittura sovrumane. La scarsa plausibilità di una parte delle argomentazioni di Gatti sono già evidenti a chi abbia occhi e mente aperta per vederle. Basterebbe infatti, a titolo di puro esercizio di stile, provare a rileggere gli articoli del Sole con una chiave di lettura leggermente diversa e magari più attenta ai contenuti e ci si troverebbe immediatamente di fronte ad uno scenario completamente ribaltato. A suscitare ilarità non sarebbe Scaramella ma sarebbe proprio il giornalista e la sua incredibile interpretazione dei fatti.
Come si può credere possibile, tanto per fare qualche esempio, che semplicemente “puntando su sigle in inglese e contatti al di là dell’Atlantico” una “entità virtuale” possa ottenere “con stupefacente sfrontatezza” accrediti, incarichi e finanziamenti dalla NASA?
Come si può immaginare possibile che qualcuno che ha il “terreno bruciato vicino a casa” possa ricevere incarichi e consulenze peritali da procure di mezza Italia, dal Veneto alla Calabria?
E ancora, come si può onestamente credere che “sulla base di un infinitesimale granello di verità” l’Assemblea plenaria del Consiglio superiore della magistratura possa investire qualcuno della carica di giudice onorario?
Per dirla con le parole della sentenza di assoluzione per il reato di usurpazione di funzioni pubbliche del 31 dicembre 1994 è “improbabile, illogico, ed in fondo irriguardoso, ritenere che basti qualificarsi come Commissario per ottenere da una Procura della Repubblica la disponibilità ed il comando degli uomini della sezioni di P.G”, concetto che riassume tutta la delegittimazione logica dello sfinimento mediatico, e purtroppo non solo, che ha seppellito l'immagine e la rispettabilità di una persona messa alla gogna con una superficialità estrema e miserabile.
Ma al di là di queste considerazioni preliminari e introduttive, il nostro lavoro si è sviluppato analizzando in dettaglio molti degli argomenti trattati da Gatti. Eccone il resoconto puntuale.

Ma al di là di queste considerazioni preliminari e introduttive, il nostro lavoro si è sviluppato analizzando in dettaglio molti degli argomenti trattati da Gatti. Eccone il resoconto puntuale.

Scaramella “non è mai stato” commissario?
La prima “bravata” che viene addebitata a Scaramella è quella di essersi fatto passare per falso commissario ed aver quindi coordinato, nei primi anni novanta, operazioni delicate contro la criminalità organizzata campana.
Ma, in termini concreti, Mario Scaramella è mai stato un commissario?
Vediamo di capirlo. Nel 1991, in seguito alla cosiddetta operazione S. Antonio che aveva colpito pesantemente con arresti e sequestri la criminalità organizzata che operava nel litorale domizio-flegreo (si veda la foto), il futuro collaboratore della commissione Mitrokhin, che di quella operazione era stato “guida e direzione”, venne rinviato a giudizio per due capi di imputazione: usurpazione di funzioni pubbliche, avendo dichiarato di agire su mandato dell’Alto Commissariato per la lotta alla Mafia e della Commissione parlamentare antimafia e usurpazione di titolo essendosi qualificato come “Commissario”.
Gatti riporta l’episodio in questi termini trancianti: “La sentenza di condanna fu depositata il 31 dicembre 1994”.
Dunque stando a queste parole sembrerebbe che Mario Scaramella sia stato riconosciuto colpevole dei reati ascritti. Ma è questa la verità?
Leggendo la sentenza citata da Gatti emessa della Pretura Circondariale di S. Maria Capua Vetere (da cui sono tratti i virgolettati che riportiamo di seguito), sentenza dal giornalista utilizzata per demolire Scaramella, in realtà si apre il sipario su scenari molto diversi.
Secondo il capo A dell’accusa, Mario Scaramella si era appropriato di funzioni pubbliche che non rientravano in quelle di coordinatore di un gruppo di Polizia Ambientale chiamato Nasc (Nuclei Agenti Sicurezza Civile), creato nel 1988 nell’ambito della Legge-quadro n. 65/86 sull’ordinamento della polizia municipale.
Già in primo grado però Scaramella venne completamente assolto per questo reato perché “il fatto non sussiste”. Gatti però incredibilmente sembra dimenticare del tutto questa conclusione.
Leggendo poi le motivazioni della sentenza di assoluzione si rilevano dettagli particolarmente interessanti.
Il pretore Roberto de Falco scrive infatti: “risulta accertato che l’imputato propose delle operazioni da compiersi sul litorale domizio secondo le intenzioni (se non addirittura su mandato) dell’Alto Commissariato e della Commissione Parlamentare Antimafia”, quindi è appurato che Mario Scaramella “ha organizzato, coordinato e diretto operazioni” contro la criminalità “collaborando ampiamente con le più diverse autorità ed organi dello Stato”.
Emblematiche, in questo senso, anche le deposizioni di tre militari che parteciparono all’Operazione S. Antonio: fu loro ordinato di mettersi “a disposizione” di Scaramella e quindi eseguire gli “ordini del signor Scaramella”.
Emerge inoltre che Scaramella aveva stretti contatti con l’Alto Commissario Domenico Sica e con l’allora presidente della Commissione Antimafia senatore Gerardo Chiaromonte (1924 – 1993) al quale “riferiva sugli esiti delle proprie operazioni” e con ogni probabilità “agiva con il consenso se non addirittura su iniziativa” dello stesso presidente.
Va ricordato che sia Chiaromonte sia Sica vennero ascoltati come testi nel procedimento in oggetto.
Il giudice, nelle sue conclusioni si spinge ad affermare che “la condotta posta in essere dall’imputato ha goduto non soltanto dell’acquiescenza e della tolleranza della P.A. [Pubblica Amministrazione], ma, probabilmente, di un vero e proprio consenso”. E ancora “dall’istruttoria dibattimentale è emerso anche che, nell’ambito dell’operazione condotta dallo Scaramella, un altro gruppo specializzato ebbe l’ordine di assistere l’imputato [una pattuglia del G.I.C.O. di Milano – Gruppo Investigazioni Criminalità Organizzata], ed è emerso che tale partecipazione è derivata da ordini che provenivano dalla G.d.F. [Guardia di Finanza] […] ulteriore conferma della acquiescenza della G.d.F. e probabilmente di alti comandi della stessa”.
Infine apprendiamo che per ordini ricevuti “dal comando superiore” una pattuglia specializzata dei Baschi Verdi (GdF), seppur in assenza di ordini dell’A.G. di S. Maria Capua Vetere, ha “partecipato all’operazione”, dimostrando, se ancora ce ne fosse bisogno, l’approvazione di cui Scaramella godeva da parte di importanti autorità statali in lotta contro il crimine.
Pertanto il ritratto che emerge da questi passaggi è, senza dubbio, di un uomo di fiducia delle autorità anticrimine al quale venivano assegnati, attraverso il Nasc, compiti delicati nella lotta alla criminalità, compiti che venivano peraltro adempiuti con successo. A ben vedere dunque tutt’altra figura rispetto a quella delineata da strani biografi non autorizzati che si spingono ad affermare con una certa dose di coraggio: “Dopodiché, agitando a distanza il tesserino di guardia itticovenatoria provinciale [!?], il ‘commissario Scaramella’ si presentò a due sostituti [poco oltre Gatti li definirà “sostituti ingannati”] della procura di Santa Maria Capua Vetere per ottenere l'assistenza della polizia giudiziaria nelle sue attività di sequestro”.
Nello stesso processo di primo grado, relativamente al secondo capo di imputazione (usurpazione di titolo), Scaramella fu effettivamente condannato ad una lieve multa. È dunque su questa condanna, sola e unica, che Gatti sembra incentrare il suo ragionamento. Ma per far ciò occorre necessariamente minimizzare l’esito finale raggiunto dalla Corte d’Appello di Napoli, il 16 ottobre 1995, che assolse Scaramella anche per questo secondo capo d’imputazione, e sempre perché “il fatto non sussiste”.
Questa formula doveva apparire particolarmente indigesta al giornalista del Sole poiché, dopo aver parlato apertamente di “sentenza di condanna” (senza specificare che si trattava di una condanna di primo grado, per un solo capo d’imputazione e nemmeno il più grave), è costretto ad ammettere, ‘in punta di penna’, che “la condanna venne poi annullata in appello”, aggiungendo che ciò avvenne in “punto di diritto”.
Tutt’altro. L’assoluzione fu con formula piena in primo e secondo grado per l’usurpazione di funzioni e fu con formula piena in appello e poi definitiva per l’uso del titolo di Commissario. Quindi non “in punta di diritto” ma “perché il fatto non sussiste”.
Comprendiamo benissimo che dare in pasto all’opinione pubblica la storia di un imbroglione che beffa le istituzioni è senz’altro più utile alla demolizione del personaggio, però non possiamo esimerci dal far notare come il metodo utilizzato da giornalisti pronti a sparare a zero su una persona come Scaramella, somigli molto alla classica martellata sulle dita. Ridicolizzare un uomo citando solo parti di una sentenza di primo grado senza riportare compiutamente le conclusioni a cui giunsero i magistrati (sentenze passate in giudicato) ci pare non molto onorevole per dei professionisti dell’informazione.

Nino Lorusso e Gabriele Paradisi

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Didascalia foto:

Sequestri sul litorale flegreo. Segnalazione al Questore di Napoli
Nel maggio 1990 Mario Scaramella e il Nasc da lui coordinato portarono a compimento un’importante operazione sul litorale flegreo in collaborazione con la Criminalpol. Furono posti sotto sequestro, per un valore di circa 15 milioni di euro attuali, aree ed esercizi pubblici che “risultavano di fatto nella disponibilità di pregiudicati appartenenti al “clan dei Nuvoletta e dei Maisto”. La massiccia operazione si rese possibile grazie ad “una voluminosa informativa della Criminalpol” e ad “ampie relazioni redatte dalla Polizia Ambientale” (il cosiddetto Nasc guidato da Mario Scaramella).






LA SECONDA PUNTATA QUI
http://www.liberoreporter.it/NUKE/news.asp?id=5496

sabato 18 settembre 2010

Camorristi, anarchici ed il caso dell'assassinio Vassallo

Sull'ipotesi di eventuale matrice anarchica dell'assassinio di Angelo Vassallo avanzata in un articolo di Aldo Bianchini

pubblicata da Peppe Tarallo il giorno mercoledì 8 settembre 2010 alle ore 11.47
Riporto qui un mio commento postato a un articolo di Aldo Bianchini su 'DentroSalerno'

Caro direttore,permettimi di fare delle osservazioni alla tua analisi.Mentre argomenti su elementi e indizi che fanno pensare a un agguato della camorra,poi affermi ” E la camorra, se di questo vogliamo parlare, difficilmente rischia tutto pur di entrare in una zona in cui non ha mai attecchito, ci sono tanti altri lidi dove poter approdare facilmente” per poter passare a un’ipotesi che non andrebbe scartata di tipo terroristico di derivazione anarchica dovute ad eventuali frange estreme legate al caso Mastrogiovanni,il maestro anarchico morto a seguito di TSO ordinato dal sindaco assassinato.Io credo che sia stata la sottovalutazione che tu sembri sottoscrivere della penetrazione camorristica(e forse non solo)sostenendo che si tratta di ‘zona in cui non ha mai attecchito’.Questo non solo contrasta con un’evidenza che solo certo struzzismo politico e giornalistico si ostina a non vedere e a negare come se qesto fosse una diminutio del luogo e un’offesa alla dignità e all’integrità del territorio.Contrasta con dicharazioni del procuratore Roberti e soprattutto con relazioni della commissione parlamentare antimafia che hanno descritto il Cilento,in particolare la costa come area di investimenti e riciclaggio della camorra nonchè di usura e traffico di droga e perfino armi.E in questa occasione non solo io ma magistrati come Marino o scrittori come Saviano hanno confermato la presenza della camorra.E’ da da almeno 30 anni che la camorra ‘è approdata’ in Cilento e fa lauti guadagni e investiemnti come dimostrano l’insediamento dell'’hotel Castelsandra di don Luigi Romano a San Marco di Castellabate confiscatogli per appartenenza al clan Nuvoletta e di nuovo oggi appetito e reclamato dai suoi soci parenti Agizza e dai suoi stessi eredi.Così come continua a prosperare,nello stesso comune, l’attività e la rete ‘commerciale’ dei Fabbrocino.O si pensa che questi siano presenze solo imprenditorali?Già nel 1991 a me direttamente il direttore del Castelsandra,al mio rifiuto di assecondare operazioni ‘amiche’ nel territorio tra Montecorice e Acciaroli disse:”Ma che credi?non lo sai che l’80% degli investimenti sula costa cilentana sono della camorra?”.E ti posso assicurare che dopo pochi mesi secondo quando mi era stato preannunciato da rappresentanti locali degli interessi di un villaggio turistico poi da me abbattuto in seguito, dopo lunghe battaglie anche giudiziarie,mi fu tolta la fiducia(”o accetti e cedi o ci compriamo la giunta”,mi fu detto testualmente proprio sotto casa mia)arrivando anche a tenere di fatto sequestrato un assessore.Per questo affare io e un altro consigliere di minoranza precedentemente avevamo ricevuto proposte corruttive di comparielli legati al Castelsandra,proposte in cui io e l’altro consigliere potevamo stabilire la somma che ci sarebbe stata data senza lasciare traccia e anche concedendoci la possibilità di salvarci la faccia(”potete continuare a opporvi ma senza fare il clamore e il casino mediatico”che creava problemi…ed era la nostra forza).Solo l’elezione diretta del sindaco nel ‘93 mi rimise in sella fino al 2001.Posso dirti che l’elezione successiva del sindaco,ancora in carica,è stata determinata dalla speculazione e da persone legate alla camorra che hanno anche presidiato e ‘vigilato’ davanti ai seggi.Oggi l’amministrazione comunale ha riaperto le porte alla speculazione edilizia e agli investimenti nel campo immobiliare ed edilzio di dubbia e sospetta provenienza.Nel mio comune opera attivamente una cricca che cura tutti i passaggi di compravendita dei terreni fino al rilascio della autorizzazione.Riferimento e sponsor dichiarato di questi investimenti curati dalla cricca è il sindaco in persona,già assessore al personale per un breve periodo nella giunta Cirielli,sotto le cui ali protettive ora si è messo dopo varie trasmigrazioni.Oltre ad essere direttore amministrativo dell’ospedale di Roccadaspide il cui sindaco ha affermato che andrebbe cacciato a calci.La speculazione avviene con la piena condivisione attiva della Soprintendenza-diretta da Zampino-che con una semplice nota ha di fatto disapplicato i vincoli preordinati alla redazione di piani esecutivi da parte di tutti i comuni del Cilento costiero interessati dal PTP(Piano Territoriale Paesistico):nel mio comune-pur sprovvisto ancora di PRG-per mia diretta conoscenza è un giochetto farsi approvare-con una parvenza di legalità-vere e proprie lottizzazioni che vengono trattate come progetti convenzionati sottraendoli così alla competenza sia del consiglio comunale che dello stesso parco. Questo trucchetto,con l’avallo della Soprintendenza,ho il sospetto che sia copiato anche da altri comuni.E soprattutto non credo che la presenza,l’influenza e il condizionamento della speculazione e di investimenti malavitosi siano circoscritti al comune di Montecorice e di Castellabate ma,per le cose ricordate prima ,sicuramente riguarderanno l'’intera fascia costiera.Quanto al comune di Pollica io mi sento di affermare che il sindaco Vassallo ha sottovalutato la presenza della camorra.Quando tra noi c’era più dialogo e collaborazione al mio invito a vigilare e a controllare certe presenze pericolose e rischiose nel settore turistico-ristorativo lui mi rispondeva di ritenere di riuscire a controllarle e incanalarle all’interno di sue scelte e direttive amministrative,fino a spingersi a sostenere insieme ad alcuni di questi l’elezione del nuovo sindaco del mio comune,salvo poi a prenderne le distanze poi per intervenuti contrasti e diverse scelte politiche.Vassallo io credo abbia sopravvalutato il suo potere e sottovalutato quello di queste forze e presenze che nel frattempo si sono ancor più rafforzate e accresciute,anche negli appetiti, proporzionalmente al valore sempre crescente che lui intelligentemente è riuscito a dare al suo comune.Questo lo dico a prescindere dall’ipotesi di un assassinio di stampo camorristico che se confermato confermerebbe non solo questa mia analisi ma certificherebbe la sua presenza ‘ufficiale’ e l’apertura di una nuova fase,più aggresiva e violenta tesa ad affermare un suo dominio incontrastato e incontrastabile. A ciò non giova la tesi minimizzatrice da te affacciata e condivisa da altre autorità isituzionali e in ultimo proprio dal vicesindaco e altri amministratori di Pollica che ritengono la presenza della camorra offensiva e disdicevole per l’immagine turistica del comune,sposando l’ipotesi o della reazione violenta di spacciatori contrastati personalmente e solitariamente dal sindaco o di una reazione o vendetta di qualcuno,locale, che ha covato un odio e rancore personale per un eventuale torto subito.Io personalmente so che questa tesi ad Acciaroli è sostenuta proprio da queste inquietanti presenze legate alla camorra e temo che la stiano facendo passare ’spontaneamente’ tra i paesani come la più consona e conveniente per l'’immagine di un paese e di un comune che rischia diversamente di vedere crollare proprio quell’'immagine che il sindaco Vassallo ha portato così in alto.”La camorra non avrebbe sprecato 7/9 colpi,ne sarebbero bastati 2″ “La camorra perchè avrebbe dovuto compromettere i suoi ‘pacifici’ affari?”. Ma giudici come Marino o giornalisti e opinionisti esperti di camorra ritengono invece la modalità e l’efferatezza dell’assassinio di Vassallo compatibili con lo stile della camorra.E veniamo alla tua tesi giornalistica che fai per non trascurare nulla azzardando così una tremenda ipotesi: ” La vendetta di qualcuno troppo vicino al defunto maestro anarchico?” Certo questa ipotesi soddisfacererebbe il carattere locale e ‘personale’che si vuol dare al delitto per allontanare l’altra spaventosa e ancor più tremenda legata alla matrice camorristica che tanto nuocerebbe all’immagine del paese e della stessa camorra che,assolta da dirette responsabilità,potrebbe continuare a fare i propri affari indisturbata e pacifica.Pur convenendo che nessuna iptesi possa e debba essere scartata,permettimi di contestare questa tesi per me irreale e assurda.”Qualcuno troppo vicino al defunto maestro anarchico” può essere o un suo familare o un amico-compagno anarchico.Tra i familiari ci sono un solo fratello,che, da sempre riservato, è dedito alle sue attività di azienda rurale familare e che notoriamente non è capace di far male a una mosca;una sola sorella residente attualmente nel Cilento,professoressa,la cui compostezza e dignità molti hanno potuto conoscere ed apprezzare nelle sue interviste televisive,altre 2 residenti in altre città del centro-nord di cui una mi sembra sposata con uno delle forze dell’ordine.Ha una sola nipote maggiorenne,Grazia Serra, che studia a Roma e che si è segnalata nella trasmissione di ‘Mi manda RAI3′ e non credo che abbia vocazioni omicide:tutta la famiglia chiede alla magistratura giustizia e non credo abbiano tentazioni di farsi giustizia da sè. Un anarchico? Lo stesso Franco non faceva più militanza attiva dopo i fatti che lo hanno visto coinvolto nel delitto Falvella nè risultano esistenti circoli o tradizioni anarchiche in Cilento nè mai esistite storicamente in loco frange estremistiche o anarchiche,anche volendo ammettere che “Nessuno …può contestare che la rabbia delle frange estreme della sinistra o dell’anarchia possono a volte sfociare in azioni eclatanti e molto violente”. Al giornalista Bianchini o ad altri,storici o cronisti,non credono risultino cose del genere a meno che non si risalga ai moti ottocenteschi del Cilento.Nè risultano essersi mai verificate azioni così efferate come l’assassinio di Vassallo come fatto ‘personale’ tra persone private o verso amministratori.E visto che si fa l’ipotesi che il sindaco abbia potuto conoscere la persona che lo ha bloccato e ammazzato escludo per il momento,come tu stesso sembri fare, un eventuale anarchico venuto da fuori,anche se io nei giri che ho fatto un pò in tutt’Italia incontrando circoli,gruppi o singoli anarchici non ho sentito mai nessuno pronunciare parole o intenzioni violente…anche perchè normalmente gli anarchici sono non violenti.E anche nei sit-in o incontri organizzati in loco si è manifestato in maniera civile e pacifica.L’unica ipotesi che potrebbe essere fatta,per indicare persone conosciute da Vassallo,e quindi escludendo il cognato di Mastrogiovanni Vincenzo Serra,e visto che forse si trattava di 2 persone,per esclusione rimaniamo io e Giuseppe Galzerano,entrambi amici e Galzerano con l’aggravante di essere anarchico).Anche se nessuno di noi 2 possiede o sa maneggiare armi,entrambi abbiamo un alibi di ferro e ci dichiariamo a disposizione della magistratura.Personalmente penso che caro direttore ti potevi risparmiare questa tua ipotesi ‘giornalistica’.E’ grave che venga suggerita e insinuata ua pista che rientra nella migliore tradizione dei depistaggi soprattutto perchè sia Mastrogiovanni che Vassallo hanno avuto morti sia pure diverse ma egualmente atroci.Aver denunciato la illegittimità e l’arbitrarietà del TSO adottato dal sindaco Vassallo,non ha impedito a me e a Galzerano nè ad altri di essere profondamente addolorati per la morte del sindaco,di chiedere anche per lui come per Franco verità e giustizia e di partecipare ieri sera al corteo-fiaccolata per condividere il comune impegno in difesa del territorio e delle istituzioni che sono stati colpiti nella sua persona.

Giuseppe Tarallo

Durissimi attacchi a Mario Miano da amici della Valle del Calore. Cavallo e Accarino

L’UOMO A DIFFERENZA DELL’ANIMALE SOGNA…. MA E’ LA RAGIONE E LA PAROLA CHE DIFFERENZIANO IN MODO EFFICACE L’UOMO DALL’ANIMALE…. MA SE L’UOMO PARLA A VANVERA ALLORA L’UOMO E L’ANIMALE SONO PERFETTAMENTE SOVRAPPONIBILI.

Scritto da: Cavallo Domenico 
grazie per cosa? non è stato eletto!!!
Oggi molti amministratori bravi ragazzi, del nostro comprensorio non comprendono le ragioni per cui sono stati eletti sindaci. Amministratori che il più delle volte blaterano o farfugliano cose per sentito dire o perchè cosi hanno letto sul libricino della politica delle chiacchiere. Io mi domando come si fa a continuare nella recita, se la realtà che i nostri sindaci hanno nei comuni e di disperazione assoluta, come si fa mentire anche a se stessi, cosa difficile, ma riesce a meraviglia a questi burattini della politica, manovrati con una stretta di mano dal politico di turno che li fa sentire importanti. Senza contare poi chi diventa assessore come Mario Miano che fa l’assessore dell’agricoltura stando nelle stanze di palazzo Sant’Agostino e scorrazzando a bordo del suo land rover come un feudatario della Valle del Calore salernitano. L’UNICO  posto dove non lo prendono a sassate è Fonte di Roccadaspide poi invece dovunque va nessuno se ne accorge. E destino della Provincia di Salerno che all’assessorato dell’agricoltura vengano nominati assessori che sono sponsor della GRANDE BUFALA.  l’unica sua proposta seria è stata quella di trasformare l’olio extravergine di oliva in olio di Ricino, per superare la crisi del settore ed esportarlo in IRAN come olio per le centrali nucleri. 
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                             MIANO DOVE SEI? Alla Valle del Calore finanziamenti zero….per gli eventi estivi.


La Provincia di Salerno ha assegnato i contributi alle associazioni che hanno organizzato le manifestazioni estive. I contributi sono andati da un minimo di 750 euro ad un massimo di 12.500 euro. Quest’anno sono stati tagliati i contributi alle sagre; c’è da chiedersi però, come mai “Pizza in festa” di Pagani è stata sostenuta con 10.650 euro? Perché sono state tagliate fuori manifestazioni del calibro della “Sagra del Fusillo di Felitto” giunta alla XXXV Edizione e la “Festa dei 7 Vini D.O.C” di Castel San Lorenzo che ha raggiunto la XV edizione? A farla da padrona, manco a dirlo, in quanto a sovvenzioni, è stata la città di Salerno e l’Agro-Nocerino Sarnese. Mentre l’Assessore Adriano Bellacosa ha fatto il bellino in quanto ad elargizioni di campanile, l’assessore Mario Miano, invece, provetto taglia nastri dell’ultima ora, non ha fatto altro che fare il giro delle sagre e rilasciare la solita intervista di routine. L’assessore Miano, inoltre, durante le suddette manifestazioni ha svolto con gusto e con l’ausilio di una solida forchetta il ruolo del commensale non pagante. Allora caro assessore Miano vuoi svolgere con diligenza il tuo ruolo? Non sarebbe il caso di fare meno l’impettito e il taglia nastri, ma di adoperarti di più e con diligenza in favore del territorio? Allora ce lo promette? Possiamo fare il nodo al fazzoletto? La prossima volta faccia in modo che la Valle del Calore non resti fuori da tali contribuzioni. Attendiamo, fiduciosi, il suo appoggio! 
                                                                                              Pietrantonio Accarino        
 
Il primo dei contraddittori dell'assessore provinciale all'agricoltura è il blogger Domenico Cavallo, che scrive su www.salernoproduce.com, mentre Pietrantonio Accarino è l'ex presidente della Pro Loco di Castel San Lorenzo e attivissimo collaboratore del settimanale "Unico". 

Ritrovato il documento certifica nascita a Sala Consilina del trombettiere di Custer

''Ho effettuato delle ricerche con il segretario del Centro studi Vallo di Diano Michele Esposito che lavorava allo Stato civile del Comune di Sala Consilina. Abbiamo controllato -spiega il professor Colitti- gli elenchi del 1853 e degli anni precedenti e successivi ma non abbiamo trovato nulla. Poi il dottor Esposito ha consultato un registro misto e proprio all'anno 1852 era registrata la nascita di un certo Giovanni Crisostomo Martino".

"Si trattava di un trovatello, era stato abbandonato e lasciato al cosiddetto 'Ruoto dei projetti' - spiega Colitti - che venne poi adottato dalla famiglia Botta. Lui mantenne pero' il suo cognome che, pero' non era nemmeno quello del padre. Una mia ipotesi sul cognome Martino e' che probabilmente sia nato nel mese di novembre che in dialetto veniva chiamato San Martino. Il giovane parti' per l'America e trasformo' il suo nome in inglese, passando da Giovanni Crisostomo Martino a John Martin. Adattare all'inglese il proprio nome era una pratica piuttosto comune fra gli italiani perche' tenendo il proprio nome italiano si sentivano particolarmente emarginati dagli americani. Sembra poi che i suoi discendenti abbiamo ripreso, con orgoglio, il suo cognome originario".

Anche il sindaco di Sala Consilina, Gaetano Ferrari, ricorda che John Martin "era un trovatello che parti' in America per cambiare vita". Ferrari sostiene anche che "negli Stati Uniti John Martin gode di grande considerazione per la sua storia e poi c'e' da dire che e' un po' figlio dei nostri tempi perche' i fatti giudiziari in cui fu coinvolto come testimone lo portarono alla ribalta dei mass media". E aggiunge che quell'atto "trovato nell'archivio del Comune e' un documento che ne certifica l'origine" tanto che in diverse occasioni il Comune di Sala Consilina ha voluto ricordare John Martin. In piazza Umberto I - conclude il sindaco - abbiamo messo una targa in suo onore''.

E' Paola Picilli. E' agropolese la nuova portavoce del nuovo presidente del consiglio regionale Romano

da www.iustitia.it

La nuova portavoce del presidente del consiglio regionale Paolo Romano è una cilentana di Agropoli, che ha studiato e lavorato a Roma, non è giornalista, ma si occupa da comunicazione da dieci anni. Si chiama Paola Picilli, ha trentacinque anni, una laurea in Scienze politiche e una specializzazione in Discipline parlamentari alla Luiss e all’università romana lavora dal 2000 al 2007 come assistente di Politica economica internazionale. Nel 2000 inizia anche l’attività come addetta stampa prima nello staff  di Confindustria, poi con il deputato Marco Taradash; dal 2001 al 2006 è capo segreteria e addetta stampa di Dario Rivolta, presidente della commissione Affari esteri della Camera dei deputati. Nel 2006, con la vittoria di Romano Prodi, passa all’ufficio stampa di Forza Italia e subito dopo è con Claudio Scajola, presidente della commissione per i Servizi segreti; dal dicembre 2008 è capo segreteria e ufficio stampa del sottosegretario all’Economia Nicola Cosentino, che, travolto dalla bufera P3, il 14 luglio scorso è costretto alle dimissioni. Ora la Picilli lavora nello staff di Fabrizio Cicchitto, capo gruppo del Pdl alla Camera.
Dopo dieci anni di lavoro nel cerchio stretto della politica romana, come nasce il trasferimento a Napoli? “L’incarico non è stato ancora ufficializzato; – dice a Iustitia Paola Picilli – mi ha cercato il presidente Romano e l’otto settembre sono venuta a Napoli per incontrarlo. Restano ora da definire i dettagli dell’incarico”.
Per la verità Paolo Romano un addetto stampa già l’aveva: era Roberto Aiello, che trova nel 2007 quando diventa capo gruppo di Forza Italia e che conferma nel 2009 con la nascita del Pdl. Ma il presidente del consiglio regionale sembra comunque orientato ad accettare la nuova situazione e ha già pronta una mediazione. “Abbiamo purtroppo vincoli strettissimi di bilancio;  – dichiara Romano a Iustitia – per l’incarico di portavoce del presidente stiamo valutando se affidarlo a Paola Picilli e credo presto ci sarà una decisione favorevole. Poi toccherà agli uffici la definizione del contratto da applicare. Contiamo a gennaio di avere una situazione finanziaria migliore che ci consenta di dotare la presidenza di un portavoce e di uno staff per l’ufficio stampa, del quale dovrebbe fare parte anche Roberto Aiello”.

Eolico negli Alburni. La storia di Antonio Aquara

ORESTE MOTTOLA orestemottola@gmail.com

CAPITOLO 1

Per le strade di Ottati, il paese degli Alburni dove è nato cinquant'anni fa, sono sbalorditi: "Antonio Aquara è uno scienziato incompreso, un bravo ragazzo, un pezzo di pane", giurano i suoi compaesani. Le cronache di oggi lo portano in Sicilia, a Mazara del Vallo, complice, come sostiene la Procura antimafia di Palermo, con l'operazione "Eolo", che ha coinvolto più di cento carabinieri e agenti di polizia, di un gruppo imprenditoriale che con l'aiuto dell'imprendibile boss della mafia Matteo Messina Denaro, decideva chi poteva impiantare le pale eoliche che producono energia elettrica con la sola forza del vento. Antonio Aquara, subito messo agli arresti domiciliari,  è la mente "tecnologica" della Sud Wind srl, che fa a capo all'imprenditore di Trento, Luigi Franzinelli, arrestato per corruzione aggravata.  La Sud Wind srl ha presentato nel trapanese progetti per la realizzazione di parchi eolici e per questi impianti secondo l'accusa avrebbe versato somme di denaro e "regalato" automobili a politici e impiegati comunali. In ballo c'erano degli ingenti finanziamenti pubblici ed un'impresa, che aveva il benestare del boss Messina Denaro, voleva avere la meglio su di un'altra. La vicenda nasce da una denuncia di Vittorio Sgarbi, oggi sindaco di Salemi. Antonio Aquara aveva un diploma di ragioniere che aveva non aveva mai attaccato ad un muro preferendo fare il pioniere, in tutto il sud d'Italia, delle energie rinnovabili. Antesignano vero, perché già adolescente era un esperto della materia. La storia di Aquara, mamma proprietaria della salumeria del paese e padre pastore sugli Alburni, è caratterizzata della vecchia centrale idroelettrica sul fiume Auso, ad Ottati, che dai baroni Ricco passò poi in mano alla "Lucania" e poi all'Enel. Ne è talmenteaffascinato, che comincia a studiarsi da solo tutto quello che trova sull'argomento. "Vai appresso ai muli a vento", lo canzonano nel paese. "Siete peggio delle capre, non migliorerete mai", ribatte lui. Ai primi accenni di "liberalizzazione" del mercato elettrico è fra coloro che rimetteranno in piedi la centrale idroelettrica di S. Angelo a Fasanella. I soci però lo estromettono dalla società e lui tenta di riprovarci più a valle a Castelcivita. Niente da fare con il comune, è troppo vicino alle Grotte. Si sposta così a Serre, dove mette in piedi le prime due pale eoliche della Campania. Gli ostacoli che si troverà davanti gli compromettono la situazione finanziaria e così allarga il suo orizzonte al riciclaggio ed allo smaltimento del siero prodotto dai caseifici e dei pneumatici usati.  Attività che non vanno come ci si attendeva, tanto da recargli serie noie giudiziarie, e così Aquara torna al vecchio amore delle pale eoliche. In Sardegna riesce a costruirne parecchie per poi cederle alla Saras di Moratti. Poi sulla sua strada arriva il trentino Franzinelli e l'avventura siciliana. Il resto è cronaca di queste ore.

CAPITOLO 2

Serre, Postiglione e Sicignano degli Alburni
Trentaquattro pale eoliche su 3mila ettari, il campo dell’energia è qui
ORESTE MOTTOLA
“Fusione per incorporazione”,  questa è la formula con la quale l’Ecoint srl, la società fondata da Antonio Aquara diventa Acea Electrabel Spa e così la presidenza viene assunta dall’ingegnere Marco Cavalleggeri.  E’ il novembre del 2004 quando l’imprenditore di Ottati viene estromesso dalla gestione societaria. L’Acea Electrabel fa subito le cose in grande ed avvia l'entrata in esercizio del parco eolico al quale verrà dato il nome di  “Monte della Difesa”. Ad aver intuito le potenzialità della zona è Aquara ma non i soldi per avviare l’investimento. Il parco eolico sorge nei comuni di Postiglione, Serre e Sicignano degli Alburni, con una potenza installata di 28,9 MW.  L'impianto è costituito da 34 generatori eolici da 850 kW disposti secondo una configurazione "a grappolo" su un'area di incidenza pari a circa 3.000 ettari, connessi mediante feeder di media tensione in cavo alla stazione elettrica 20/150 kV di Sicignano degli Alburni, di proprietà di Terna, che costituisce l'interfaccia di connessione della centrale eolica alla Rete di Trasmissione Nazionale lungo la tratta di collegamento AT 150 kV Campagna-Contursi Terme. Monte della Difesa è entrato in esercizio commerciale il 20 ottobre 2008. Contestualmente, è stato riconosciuto alla Società il diritto all'esercizio per la produzione dei certificati verdi. Le zone interessate sono per Postiglione quelle di Zonzo, Taverne Vecchie e Duchessa, per Serre è la zona di Peragineta,  e per Sicignano degli Alburni quel “Monte della Difesa” che viene usato per la denominazione generale.  La maggior parte delle proteste popolari si registrano nelle campagne di Postiglione dove accanto a chi ha i benefici  dell’aver fittato un terreno ad Acea Electrabel c’è il vicino a carico del quale sono scattate le relative “servitù” e i vincoli di in edificabilità. La questione è stata oggetto di accese discussioni nel corso dell’ultima campagna elettorale.  

CAPITOLO 3
Io annuso il vento, la mafia non so cosa sia
L’imprenditore degli Alburni racconta la sua avventura siciliana
ORESTE MOTTOLA  orestemottola@gmail.com
Nel 1996 innalza le prime tre pale eoliche. “Di quella potenza, erano le prime d’Italia”, racconta compiaciuto.  Nascono a “Costa dei Preti”, proprio ad un tiro di schioppo dal centro di Serre, catturano l’energia dal vento,  un’utopia che con lui diventa concreta.  Attira l’attenzione dei turisti e degli inviati dei giornali. Per un anno i due alberghetti più vicini faranno registrare il tutto esaurito. Le ultime cronache dicono  che è stato condannato ad un anno e 10 mesi per aver contrattato con la cosca di Messina Denaro ed alcuni politici locali di Mazara del Vallo la concessione di finanziamenti pubblici per la realizzazione dei parchi eolici. Vicino a Salemi dove il sindaco è Vittorio Sgarbi, nemico giurato delle pale che catturano l’energia dal vento.  Aquara ci arriva al seguito di Gigi Franzinelli, già segretario della Cgil del Trentino e fondatore di un partito autonomista. In mezzo ci sono altre disavventure imprenditoriali consumate tra Postiglione, dove riciclava il siero dei caseifici, e poi Buccino, con pneumatici da recuperare.  “I giudici siciliani hanno preso una svista. In Sicilia – racconta Antonio Aquara, 52 anni, originario di Ottati, ma residente a Serre - ci manco dal giugno del 2004 e non sono più socio della Sudwind di Luigi Franzinelli, la società sotto accusa”.  Figlio di un pastore e di una salumiera, diploma da ragioniere,  è uno dei pionieri dell’energia eolica in Italia, grazie ai suoi studi da autodidatta aveva messo su delle piccole aziende tutte specializzate nel settore delle energie alternative. “Tutto crollato sotto quel timbro infamante che dalla Sicilia mi è stato messo addosso”, dice sospirando.
 “Vento di mafia. La criminalità organizzata all’assalto dell’energia pulita”, è la copertina del settimanale l’Espresso .  Si racconta di contatti e favori con gli uomini del boss Messina Denaro. C’è anche il suo nome”…
Messina Denaro? E chi è? Mai conosciuto.  Io dalla Sicilia manco dal giugno 2004. Dalla Sudwind, la società che è all’origine della vicenda, mi sono ritirato dal novembre del 2004. I fatti, ritenuti oggetto di reati, sono avvenuti nel periodo successivo. Di cosa devo rispondere? Io lì studiavo la ventosità delle zone, parlavo con i contadini e dei sindaci della convenienza di avere una rendita facendo mettere le pale nei propri terreni in cambio di un affitto. Mai chiesto fondi pubblici…”.
L’hanno però condannata…
Mi hanno messo nel calderone. Prima della condanna il conto che mi hanno già fatto pagare è crudele. Messo agli arresti domiciliari per 102 giorni, non ho potuto assistere gli ultimi mesi di vita di mio padre già gravemente ammalato. Io stesso ho contratto un tumore che sono riuscito a debellare. Le mie aziende sono andate a gambe all’aria. Con la condanna che ho avuto sono condannato alla morte civile perché non posso accostarmi all’Enel ed alla pubblica amministrazione… E nessuno mi ha interrogato, nell’istruttoria e nemmeno nel processo ”.
In Sicilia come ci arriva? Non certo da turista…
 La Sicilia? Mi notano perché avevo un sito Internet dove spiegavo come fare per realizzare parchi eolici. Un architetto siciliano lo vede e mi chiede di andare lì. Qui ero  bloccato, non riuscivo ad andare avanti. Poi mi scippano il grande parco eolico di Serre- Campagna- Teora e Caposele.  Con un aumento di capitale sociale scalano la mia società l’ Ecoint. Mi buttano praticamente fuori. A quel punto sono costretto a cercare fortuna altrove… Puglia, Sicilia, Sardegna e Calabria…”.
Regioni non facili…
“E’ qui c’è molto vento. Io che il vento lo “annuso”,  piazzo oltre 70 anemometri nei punti maggiormente strategici. Ho un patrimonio di conoscenza ragguardevole. Gli altri sono  costretti a venirmi appresso. I soldi però non si vedono e gli investimenti non rientrano. Nel frattempo a Postiglione  apro la “Biancaneve” che ricicla il siero che mi portano i caseifici, con 12 posti di lavoro, e nei recupero dei pneumatici usati. Mi metto a fare l’imprenditore, insomma. Già dall’estate del 2004 io chiudo i miei rapporti societari con Sudwind.  Lo faccio perché devo rientrare a casa, nei miei Alburni…”.
  

Altavilla e Pollica andata e ritorno. L'Angelo Vassallo che io ho conosciuto

Ci aveva fatto avvicinare di più Hemingway. Io avevo trovato quei nuovi elementi che permettevano di poter rilanciare l’idea di un soggiorno cilentano, nell’Acciaroli dei primi anni Cinquanta, dell’autore di “Fiesta”.
Al telefono gli anticipai la notizia: “Veramente dici? E falla uscire!”, non mi disse più di tanto.
Era di poche parole, Angelo Vassallo. Ma capace di impuntature a viso aperto. Come nella serata nella quale vennero presentate queste nuove ricerche sulla presenza del premio Nobel. Arrivò al limite dello scontro fisico con degli ascoltatori che rumoreggiarono, da “destra”, in seguito ad alcune parole di un relatore.
Molto pragmatico nell’agire politico quotidiano, tuttavia mai dimenticava il suo essere un uomo “di sinistra” ma mai genericamente “della sinistra”.
La sinistra di Angelo Vassallo era fatta di rigore e di originalità nel portare avanti un modello di sviluppo molto semplice: duplicare nel Cilento costiero le cose migliori che erano state realizzate nella Costiera amalfitana. Lui ci aggiungeva l’anima ambientalista, la cura dei particolari, una forte spinta etica, “al bar non accettava nemmeno un caffè”, e tutti i suggerimenti di quell’élite socio–culturale che già da diversi decenni aveva scoperto Acciaroli.
A Galdo, che è un’altra delle frazioni di Pollica, lontana però dal mare, avevo visto un caffè letterario. Libri e giornali, sigarette, la ricevitoria del lotto ed il banco solo con i libri di autori locali. Poco distante un gruppo teatrale animava serate nelle quali disseminavano tanti indizi e tutti gli spettatori erano chiamati ad individuare il colpevole. “Quel negozietto chiudeva, invece così tanti turisti ci vanno. Funziona sai…”, mi raccontava.
Questo era Angelo, uno straordinario catalogo di soluzioni, idee e provocazioni. Di pragmatismo ed utopia. E poi nessuna indulgenza al “piacionismo”. Cortesia e rispetto. Considerazione per tutto e tutti.
La serata hemingwayana andava per lunghe, lo spettacolo musicale cubano si protraeva, dovevo rientrare. Mi alzo. Vassallo mi ferma. “Sai, io sono di Altavilla”, aggiungo. “Lontanuccio, eh”, commenta.
Con orgoglio ho però visto molti miei compaesani marciare ad Acciaroli con la torcia in mano: Aldo, Lorenzo, Gianni ed altri dei quali non ricordo i nomi.
L’idea che la ferocia del malaffare anche nel Cilento abbia superato tutti i limiti è intollerabile e c’è chi ha sentito dentro di sé l’imperativo a muoversi. A dire la propria, a testimoniare di non volerci stare. C’era tanta gente comune che stava lì certo per “dovere”.
A chi oggi mi chiede: “noi cosa facciamo?” io rispondo che occorre tenere duro, indignarsi, guardarsi attorno.
Cito sempre un libro di Bruno Arpaia: “ Il passato davanti a noi”, storia di un gruppo di ragazzi che nella Ottaviano a cavallo degli anni Settanta ed Ottanta si occupano delle grandi questioni del mondo e non si accorgono che i coetanei con i quali vivono gomito a gomito, un nome a caso è quello di Raffaele Cutolo, sono diventati la nuova camorra organizzata.
Nel numero speciale che ad “Unico” abbiamo voluto dedicare ad Angelo Vassallo la tesi centrale la esprime Luciano Pignataro: nell’omologazione crescente del Cilento al resto della Campania c’è la chiave di lettura del crimine. Non vi sembri patetica la mia richiesta di stare sempre con gli occhi aperti di fronte al luccichio di diversi imprenditori. Soprattutto negli ultimi anni, Salerno e la sua provincia sono diventate silenziosamente una lavatrice del denaro sporco. Una macchina che centrifuga sempre più velocemente in ristorazione, alberghi, negozi, attività per il tempo libero, immobili e terreni. L’avamposto per gli investimenti futuri che la bellezza dell’area inevitabilmente richiamano e che le tradizionali zone campane non sono più in grado di investire. Di fronte a questi pericoli ci servono amministratori locali che non alzino solo belle bandiere e dicano parole di miele ma siano d’esempio per tutti. Come il sindaco Vassallo.
Che davvero ti sia lieve la terra, Angelo.

A sostegno di Matteo Cosenza, promotore di una grande mobilitazione civile in Calabria

E' colui che nel 1995 decise di chiamarmi a collaborare a "Il Mattino" e per qualche anno ho avuto modo di apprezzarne personalmente la grande professionalità ed umanità. Ora è in Calabria e sta facendo un grande lavoro. Forza Matteo!  

Ne abbiamo viste tante, nello strano paese in cui viviamo, e crediamo di sapere come vanno le cose. Eppure la realtà a volte supera la nostra immaginazione. In questa stagione confusa, in cui si irride la libertà, si piegano ad personam principi e valori, si discute di persecuzione di esseri umani come se fosse una materia opinabile, io non immaginavo che i giornalisti potessero debuttare come capipopolo di successo. Non immaginavo che nel vuoto di iniziativa politica e mentre si rimpiangono i leader carismatici d’altri tempi, toccasse proprio a loro trasformarsi in trascinatori di folle. Era impensabile che questa categoria vituperata, che gode di scarsa credibilità pubblica, potesse chiamare i cittadini alla mobilitazione civile per salvare i pilastri della democrazia e della giustizia e trovare ascolto anche fra coloro che eravamo abituati a vedere ispiratori di queste proteste.

 Non lo immaginavo, ma è avvenuto diverse volte negli ultimi mesi, e il miracolo si ripeterà il 25 settembre prossimo a Reggio Calabria, con la manifestazione “No ‘ndrangheta’’ che si annuncia grandiosa, avendo  ottenuto in pochi giorni oltre cento adesioni collettive:  sindacati, movimenti, associazioni, università, amministrazioni provinciali e numerosi comuni che porteranno in piazza i gonfaloni. La manifestazione  è nata, chi l’avrebbe detto, dall’appello di un giornalista campano che si è fatto calabrese: Matteo Cosenza, direttore del Quotidiano della Calabria, un piccolo giornale che negli ultimi mesi, nell’indifferenza generale, ha visto minacciati una decina di suoi giornalisti, più o meno lo stesso numero del concorrente diretto Calabria Ora.  I

l 27 agosto Matteo ha lanciato l’ appello con un lucido editoriale condivisibile parola per parola. Un articolo accorato, velato di amarezza. Un articolo che poteva rivelarsi nient’altro che uno sfogo, un pugno a vuoto,  e invece, insperatamente, ha colpito nel segno, ha scosso la rassegnazione, ha fatto apparire insensato l’ immobilismo.  Di fronte allo sgomento per le bombe intimidatorie contro i magistrati  e a “un’escalation che lascia immaginare prossime azioni ben più eclatanti”, ha scritto Cosenza, “ ben venga finalmente un sussulto delle coscienze come si vide a Palermo dopo le stragi di Capaci e di via D’Amelio e come non ci fu in Calabria dopo l’uccisione altrettanto esemplare di un magistrato come Scopelliti”. Un sussulto necessario “per far sentire meno soli i magistrati, i poliziotti, i carabinieri, i finanzieri e tutti i servitori dello Stato che rischiano per conto nostro la loro vita”.

Proprio un bel pugno nello stomaco. E qual è stata la reazione? All’inizio i sindacati ed altri possibili compagni di strada non l’hanno presa bene. C’è stata qualche reazione risentita, poi però, quando ci si è messi attorno a un tavolo, Matteo Cosenza ha spiegato qual è la sua obiezione principale: che le attestazioni di solidarietà, fredde e ripetitive, non hanno più efficacia, servono a qualcuno per mettersi la  coscienza a posto e offrono una passerella di visbilità agli esponenti politici e delle istituzioni locali. I sindacalisti hanno riconosciuto che Matteo aveva proprio ragione e non era il caso di offendersi, e hanno indetto la manifestazione per sabato 25 settembre. Poi sono arrivate le altre adesioni… Insomma è avvenuto l’impossibile. E a questo punto è lecito immaginare che, con la loro semplice presenza, le migliaia di manifestanti che saranno in quella piazza spingeranno a partecipare gli altri, gli incerti, gli attendisti, coloro che di solito si limitano a guardare i cortei dalle finestre socchiuse, quelli che accampano scuse, chi dice che le sfilate non servono a niente, coloro che non riescono a vincere la paura, chi prova sfiducia, rassegnazione, diffidenza, chi si nasconde dietro  pretestuosi distinguo, chi si giustifica aggredendo, scagliando gratuite invettive contro i “professionisti dell’antimafia”, veri e propri insulti che, in questo come in altri casi, feriscono ma soprattutto squalificano chi li lancia.

Mi chiedo come ha fatto Matteo Cosenza a sfuggire al rogo a cui vengono trascinati di solito i giornalisti petulanti, e a trascinare tanti indecisi. Forse il punto di forza del suo appello è il tempismo con cui è stato lanciato in un momento di grave disorientamento. Un altro punto di forza a me pare la credibilità personale di chi lo ha firmato, un giornalista che si è rimboccato le maniche insieme ai suoi cronisti e si è immedesimato nel dramma che stanno vivendo non solo i magistrati chiusi nella procura-bunker, ma tutti i calabresi e con loro decine di giornalisti calabresi,soprattutto quelli del suo giornale e quelli del giornale concorrente, Calabria Ora. Due giornali che da qualche anno, con ostinazione e coraggio cercano di illuminare gli angoli bui della società calabrese, cercano di dissolvere il vasto buio informativo imposto con le minacce e alimentato dall’autocensura. Illuminano la scena come devono fare i giornalisti: orientando la bussola sui fatti, riferendoli, raccontandoli, inquadrandoli sia pure con le connotazioni ambigue e incerte con cui si manifestano.

Come dicevo, l’adesione di massa all’appello di un giornalista è una novità, ma non lo è in assoluto. Qualcosa di simile era già avvenuto. Un anno fa, fu la Federazione Nazionale della Stampa,il suo vertice composto rigorosamente da giornalisti, a indire una manifestazione di piazza contro la “legge bavaglio”, per difendere, diceva lo slogan, una informazione “senza guinzaglio”. A quella manifestazione, il 3 ottobre 2009, a Roma in Piazza del Popolo, insperatamente parteciparono centomila persone, chiamate a raccolta da sindacati, partiti, movimenti, associazioni che raccolsero e fecero proprio l’appello dei giornalisti della FNSI. Dunque anche quella volta furono i giornalisti a mettersi alla testa della lotta, a interpretare il ruolo insolito di capipopolo. E’ un segno dei tempi, e saranno i sociologi a spiegarci il fenomeno.

 Ma una notazione possiamo farla: quella manifestazione, non dobbiamo dimenticarlo, ha ridato fiato e speranza a un popolo sfiancato dalle delusioni e sfiduciato, a cittadini convinti che ormai, con la televisione che detta legge, non fosse più possibile una così ampia mobilitazione a sostegno di grandi battaglie di civiltà. Quella manifestazione rimane perciò una pietra miliare. E non dobbiamo dimenticare che ha dato il via ad una campagna coronata da successo, perché alla fine il ddl sulle intercettazioni, che conteneva odiose norme liberticide, dopo tanti roboanti proclami dei suoi sostenitori, è finito sul binario morto, come volevamo noi, come ha certificato il presidente Giorgio Napolitano. Se è stato accantonato, molto dobbiamo a quella mobilitazione del 3 ottobre e alle iniziative che ne hanno seguito la scia:  “Rai per una notte” di Michele Santoro, che radunò una folla immensa a Bologna ed fu rilanciata da una miriade di tv locali, il talk show itinerante di Giovanni Floris, la notte bianca di Conselice, e via elencando.

In un certo senso anche la manifestazione del 25 settembre prossimo, che richiamerà in piazza cittadini esigenti, affamati di diritti, di libertà e di giustizia, è nata su quella scia. 

* Alberto Spampinato – Consigliere della FNSI, direttore di Ossigeno per l’informazione

giovedì 16 settembre 2010

STORIE DI PANE E DI GRANO - Regia di Piero Cannizzaro

“Tra le valli del Monte Gelbison, e del Monte Cervati in uno dei luoghi più suggestivi del Cilento vive una coppia molto particolare: Angelo e Donatella. Angelo dopo aver studiato Sociologia all’Università di Salerno, si è trasferito con Donatella in uno dei punti più suggestivi del Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano). Dalla città alla campagna per ricominciare una vita a contatto con i ritmi e i tempi della natura, dedicandosi alla coltivazione di un’antica qualità di grano conosciuto sin dai tempi dei Romani: l’antico carosella. Una testimonianza scritta di questo antico cereale si trova in alcuni documenti pubblicati a Parigi nel ’700.I nuovi contadini, istruiti e consapevoli del loro lavoro, hanno riscoperto l’emozione del far nascere la vita, prendendosi il gusto di farlo integralmente, governando tutto il processo, dalla semina fino al prodotto pronto per il consumo.In alcuni giorni particolari con la farina del carosella preparano il pane in forme artistiche che vende ad alcuni estimatori e clienti affezionati. Grazie al loro lavoro adesso sono in molti a conoscere questo antico cereale che viene sempre più apprezzato dai clienti di trattorie e ristoranti dove si cucinano e propongono i piatti della tradizione locale.Ma cè di più. La biodiversità ricreata da Angelo non si lega solo ai metodi di coltivazione e all’architettura.La sua è una battaglia di tutela per salvaguardare soprattutto una biodiversità di tipo culturale.Le trasformazioni della società contemporanea, anche nella zona del Pruno, hanno infatti portato i contadini, i pastori e in generale gli abitanti locali, a rimuovere le loro conoscenze culturali millenarie.Angelo, invece, cerca di recuperarle.

Tra le tante iniziative, ha invitato dei vecchi musicisti della zona a suonare nel suo casale, non solo con lo scopo di aggregare, come accadeva una volta, gli anziani con i giovani, ma soprattutto per far conoscere a quelle nuove generazioni i suoni della loro terra.

Alcuni, infatti, dopo averli ascoltati, si appassionano e diventano dei nuovi testimoni ( e futuri guardiani) delle musiche tradizionali del Cilento. Senza questo interesse, quel patrimonio di conoscenze andrebbe inevitabilmente perso”

Il saluto al giornalista Gennardino Alfano

Cià professore Alfano…

La morte: strano evento. La cupa mietitrice non ha risparmiato nemmeno il solitario ma solare professore Gennardino Alfano, l’uomo che amava la gioventù e che se ne andato in punta di piedi, non creando altri disturbi al rumoroso mondo, che amava descrivere nei suoi articoli di politica, di costume e di varia umanità. I giornali sono come gli almanacchi, riportano parole scritte e incolonnate che devono necessariamente durare l’arco di un giorno. Gennardino amava invece rendere vivo ogni rigo di quelle parole profondendo lo stesso amore che nutriva per i suoi piccoli alunni, che erano forse più amici che alunni.
Ogni articolo somigliava ad un acquerello di parole. Gennardino seppe trasmettere lo stesso amore per il giornalismo alla sua primogenita Antonella, che oltre a regalargli due bei nipotini gli allargò immensamente l’orgoglio di essere approdata alla Rai dove conobbe e sposò Ettore Giovannelli, volto familiare per i trepidanti tifosi della rossa Ferrari. Un mondo che Gennardino incarnava. Gennardino amava i bolidi e le auto sportive. Un giorno Gennardino mi raccontò le sue emozioni a contatto con quei bolidi che sfrecciavano a trecento orari, il rombo della Ferrari, l’odore della gomma degli pneumatici, del grasso dei motori e del coraggio.
Sapeva descrivere con semplicità la vita, allevare con amore galline ovaiole e coltivare i buoni ortaggi della Nostra feconda terra, era buono, era il professore che amava fare il giornalista e dedicarsi alla grande passione per la terra. Ieri volgendo lo sguardo verso il cielo avrà pensato che forse c’era un necessario bisogno di un professore della “Scuola Media Opromolla”. Forse lassù si sono ricordati delle sue grandi doti di organizzatore delle memorabili estati angresi dei primi anni novanta e hanno deciso di chiamarlo. Tutti vogliamo credere che il professore Alfano sia andato a compiere un’altra importante missione che lo renderà eterno nella memoria. Lieve voglia essere la terra caro professore.
Luciano Verdoliva

La riscoperta della carne di bufalo

Si fa sempre più strada tra le carni alternative: oltre lo struzzo, la carne equina, l'agnello e il coniglio si è scoperta, anzi ri-scoperta la carne di bufalo. Rispetto a quella vaccina, contiene meno grasso tra le fibre (ha invece una grande quantità di "grasso di copertura", facilmente separabile dal magro) e addirittura il 50 per cento di colesterolo in meno, è più tenera e più succosa, per una maggiore capacità di ritenzione idrica. La carne bufalina proveniente può vantare inoltre, rispetto a quella di manzo e vitello, un contenuto di lipidi bassissimo (1.5 %  contro il 19 % bovino) e una quantità maggiore di vitamine B6, B12 e K e di proteine. Ma quello che sorprende è la percentuale di ferro, addirittura doppia.

Eppure non è radicata nelle abitudini quotidiane a causa di un vecchio pregiudizio: anche chi non l'ha mai mangiata crede che si tratti di un alimento duro, dall'odore troppo forte e dal sapore invadente. Il motivo va ricercato nei metodi di allevamento di una volta. In primo luogo i bufali erano sfruttati, se femmine, per la produzione del meraviglioso latte da cui da sempre si ottengono mozzarelle e formaggi; se maschi, per il lavoro nei campi. Insomma, quando arrivavano sulla tavola erano ormai bestioni a fine carriera dalla carne assai poco invitante.

Ma anche chi li allevava per la produzione carnea aveva un brutto vizio: se ottenuta da capi giovani e di buona fibra, veniva spacciata per carne di vitellone. Solo quando la carne non era di gran qualità era effettivamente venduta per bufalina. Ecco come è nato nei consumatori un falso - ma giustificato - preconcetto. (Sarà per questo che si dice "è una bufala" per intendere un piccolo raggiro?)

Comunque, gli scambi di identità sono acqua passata. Oggi un gruppo di imprenditori coscienziosi riuniti nell'
Anasb (Associazione nazionale allevatori specie bufalina) si è dato regole rigide a garanzia del consumatore. Dando di nuovo valore a una risorsa carnea preziosa e soprattutto gustosa. Molti chef infatti sempre più si cimentano nella creazione di ricette che rendano giustizia alla tenerezza e aromaticità della carne bufalina, primo tra tutti Gianfranco Vissani con delizie come gli Gnocchi di patate al limone con ragù di lingua di bufalo al profumo di timo o i Ravioli di salsiccia di bufalo e melanzane.


Ma anche piatti più classici sono da leccarsi le dita, come semplici arrosti o stufati. L'importante che sia il pregiato bufalo mediterraneo italiano, di cui si è anche chiesto il riconoscimento europeo della Igp, indicazione geografica protetta. Nati e cresciuti nelle aree di produzione tipiche della mozzarella di bufala campana (Campania, basso Lazio, Puglia e Molise), i bufalotti da carne, che per loro natura vivono quasi allo stato brado e liberi di pascolare, non vengono sottoposti a metodi di allevamento intensivo, bensì passano la giornata all'aria aperta e sono alimentati con mangimi a base di fieno e mais di produzione locale.

Si rispettano così i ritmi che hanno da secoli e secoli. Infatti la loro collaborazione con l'uomo si perde nella notte dei tempi. In Italia se ne trovano tracce nei documenti fin dall'anno Mille. Nonostante la confusione di fonti bibliografiche (dovuta anche al fatto che col termine "bubalus" la lingua latina indicava buoi, alci e altri ruminanti) la presenza di allevamenti bufalini in Italia può collocarsi, in modo certo tra il XII e XIII secolo. Furono i Re Normanni a portare il bufalo nel continente dalla Sicilia, dove era stato introdotto dagli Arabi. All'inizio del secondo millennio, l'allevamento bufalino si sviluppò principalmente all'interno dei grandi ordini monastici, che durante il Medioevo operarono attivamente nel campo agricolo e dell'allevamento. A partire dal 1300 in molte zone costiere della penisola si crearono le condizioni favorevoli alla diffusione dell'allevamento bufalino, perchéciò che era un ambiente impervio per i bovini era invece un paradiso per i bufali: amano stare a mollo neitonzi o caramoni, le pozzanghere che scavano nel terreno.

Il ritorno dei bufali

Per esempio in Campania nel Basso Volturno e nella Piana del Sele, i bufali si diffusero con rapidità, sfruttando pascoli non altrimenti utilizzabili a causa delle continue inondazioni dei due fiumi. Nella zona esistono ancora le antiche "bufalare", costruzioni circolari in muratura con al centro un camino per la lavorazione del latte e con piccoli ambienti addossati alle pareti destinati all'alloggio dei pastori.

Nella regione oggi si contano circa 200.000 capi allevati per la produzione del latte e il settore carne mostra buone potenzialità produttive perché il clima mite e il terreno fertile creano l'habitat perfetto per il pascolo degli annutoli (i piccoli di bufalo). Con la giusta alimentazione e uno stile di vita naturale, all'età di 15-16 mesi sono pronti per fornire carni tenere, succose, saporite e facilmente digeribili. Anche sottoforma di prelibati salumi, come la bresaola, da condire con un filo di olio al limone.

In libreria per Coniglio "Brigante se more" di Eugenio Bennato (con Carlo D’Angiò).

Il libro è la storia di una ballata: "La ballata era semplice, efficace ed emozionante ed ha acceso l’interesse per una vicenda storica che era praticamente sconosciuta: la ribellione della gente meridionale all’invasione piemontese del 1860. Qualcuno ha cominciato confusamente ad affermare che quella ballata, nata a Napoli una sera della primavera 1979, sarebbe stata scritta un secolo prima non si sa dove non si sa da chi. Qualcuno, folgorato come tanti di quella composizione, ha cominciato a sognare che i briganti dell’Ottocento l’avessero potuta cantare, magari prima della battaglia. E ha cominciato ad insultare noi che l’avevamo scritta (purtroppo solo 120 anni dopo). Nel frattempo la nostra ballata si è diffusa sempre più, aprendo una rinnovata attenzione per la storia del brigantaggio e dell’emigrazione e per una diversa interpretazione della secolare “questione meridionale” . Quei versi e quella musica nati dalla nostra fantasia e dalla nostra sensibilità erano evidentemente l’inno che il sud aspettava da più di un secolo. Un coro di centinaia di migliaia di voci ha cantato in questi trent’anni quell’inno e la celebrazione del 150° dell’Unità d’Italia dovrà fare i conti con le masse di giovani e di intellettuali che non ci stanno più a subire passivamente la retorica risorgimentale. Alle feste popolari di musica dei sud del mondo si vendono magliette con la scritta “Ommo se nasce brigante se more”».
Eugenio Bennato
Eugenio Bennato
L’AUTORE - Eugenio Bennato fonda nel 1969 la Nuova Compagnia di Canto Popolare, all’epoca il primo e più
importante gruppo di ricerca etnica e revival della musica popolare dell’Italia del Sud. Negli anni 70, la NCCP conquista i giovani e influenza considerevolmente gli artisti italiani che formano la famosa “Scuola Napoletana”. Con la NCCP registra 6 LP e dopo l’esordio al Festival dei Due Mondi di Spoleto (’72) realizza tournée di grande successo in Italia e all’estero. Nel 1976 fonda MUSICANOVA e inizia un’attività autonoma di compositore con costante riferimento allo stile popolare. Realizza numerosi LP di successo, fra cui Brigante se more (1979), contenente brani sul brigantaggio meridionale ancora oggi estremamente popolari tra il pubblico giovanile, veicolati anche da centinaia di “cantori di strada” che li ripetono di continuo nelle loro performances.

A rischio chiusura l'Arac di Eboli. In 12 tengono aggiornati i libri genealogici

EBOLI - Continua l’odissea dei 12 lavoratori della sede di Eboli dell’Arac - 10 lavoratori di campagna e 2 addetti alle pratiche d’ufficio - l’associazione regionale degli allevatori della Campania, non percepiscono lo stipendio dal mese di maggio. A denunciare, per l’ennesima volta, la grave situazione è il segretario provinciale della Fai Cisl, Carmine Santese. L’Arac, associazione fondata per l’istituzione e la tenuta dei libri genealogici a servizio della zootecnia, ha sedi in tutta Italia e, in Campania, quello di Eboli è il centro d’eccellenza per la provincia di Salerno. “Stiamo affrontando un caso a dir poco paradossale”, ha affermato il numero del sindacato di categoria cislino. “Dallo scorso mese di maggio la nuova giunta regionale ha bloccato tutte le delibere in precedenza e le ha rispedite agli assessorati di competenza. Qui stiamo parlando di un servizio per le associazioni come la Coldiretti e che presta la propria assistenza a circa 800 aziende in provincia di Salerno, ma nessuno sembra preoccuparsi di questa vicenda. Senza l’albo genealogico sarebbe impossibile avere la certificazione di qualità dei prodotti lattiero-caseari del nostro territorio, in particolare la mozzarella di bufala. Questi lavoratori non prendono lo stipendio e tutti i giorni prestano la loro opera per dieci ore al giorno e non possono neanche scioperare, altrimenti rischiano di essere denunciati”, afferma Santese della Fai Cisl salernitana. “Nonostante il prezioso servizio offerto alle aziende della provincia e all’intera filiera produttiva la Regione continua a mortificare questi lavoratori, che da tempo non godono di una tranquillità economica e lavorano in condizioni disumane. La struttura ebolitana della località Cioffi, di proprietà dell’Università ‘Federico II’ di Napoli, è sprovvista di condizionatori, riscaldamenti ed è a rischio infiltrazioni”. L’Arac, nonostante sia un ente nato e finanziato dal ministero dell’Agricoltura, è legato ai fondi stanziati dalla giunta di Palazzo Santa Lucia che, secondo l’esponente della Cisl, non ha mai garantito una continuità per le attività di sviluppo e controllo del centro di Eboli. “I costi dell’Arac vengono sostenuti direttamente dal ministero dell’Agricoltura, che ogni hanno sborsa per l’ente 1.500.000 euro, di cui 800mila sono destinati al personale”, afferma indignato il segretario Santese. “Questi soldi da Roma vanno a Napoli e da maggio sono blocco. La cosa assurda è che la Regione in questa vicenda dovrebbe fungere solo da organo di controllo ed erogare il contributo ministeriale. Ma misteriosamente i fondi restano bloccati e non possono essere spesi neanche in altro modo”. Quello all’Arac di Eboli è solo l’ultimo colpo inflitto dalle istituzioni politiche - nazionale e regionale - al mondo del lavoro salernitano che - dopo la Ssica di Angri, l’Ense di Battipaglia, la crisi del settore forestale, il momento negativo della comunità montane e dei vari consorzi di bonifica - vede a rischio anche i lavoratori del centro ebolitano. “Anche se si tratta di pochi posti di lavoro (in Campania sono 32 i lavoratori dell’Arac) ci mobiliteremo ugualmente per scongiurare il rischio chiusura”, dichiara il leader provinciale della Fai Cisl. “Domani a Napoli saremo a piazza Matteotti per protestare contro l’annullamento dei finanziamenti al settore forestale con 5000 persone. A questi si aggiungeranno anche i lavoratori dell’Arac di Eboli che faranno sentire la propria voce”, dichiarano i vertici di categoria delle organizzazioni sindacali confederali. “Nei prossimi giorni chiederemo spiegazioni in merito alla vicenda dell’Arac all’assessore regionale all’Agricoltura, Vito Amendolara, per sbloccare gli stipendi di questi lavoratori che sotto il profilo umano e professionale stanno gestendo la situazione in maniera dignitosa ed esemplare”.