sabato 2 ottobre 2010

Controne, i fagioli preferiti dagli angeli

Anche i ladri mangiano fagioli ma solo se sono quelli di Controne
Un paniere di cose buone: miele, olio, pane ed ora anche il capretto e l’agnello.

“Vengono da fuori quelli che allungano le mani”. Su cosa? "Ci rubano i fagioli. E sotto i nostri occhi", denunciano i coltivatori di Controne. Fagioli, ma non solo. Anche Hallowen. A Controne ti offrono, a 45 euro, un intero paniere di cose buone. Miele, pane ed ora anche il capretto e l’agnello. E l’olio imbottigliato ed etichettato. L’idea è di Michele Stellavato, della “Taverna degli Antichi Sapori”. L’arca degli ottimi prodotti necessari per il buon mangiare sembra prediligere il piccolo paese stretto tra le grotte di Castelcivita e Postiglione, e tra il fiume Calore e i monti Alburni. Piccolo è bello, è il caso di dire, visto che il territorio comunale è di appena 7,5 Kmq e gli abitanti sono meno di mille. Siamo nella terra dove un alone di leggenda copre le certezze scientifiche sul magnesio che rende più buone le tutte coltivazioni e finanche gli alberi di ulivo si trasformarono in soldati per difendere il paese dall’assalto dei nemici. Nel paese dove il prossimo 31 ottobre ci sarà l'americanata della festa di Hallowen in questi giorni va in onda una storia antica, la lotta dei contadini contro chi vuole appropriarsi, con destrezza, del frutto del loro lavoro. Raccogliere al posto di chi si è spezzato la schiena in campi spesso piccolissimi ed ha aspettato le due o le tre di notte per avere un po' dell'acqua miracolosa che scende dalla fonte dell'Acquaviva. Una volta erano pastori e cacciatori ora sono i predoni che, vengono chissà da dove, arrivano in auto ed in pochi minuti raccolgono e scompaiono lungo la strada che costeggia il fiume Calore e che in un quarto d'ora porta sull'autostrada.
"Attenzione! c'è una Panda rossa al Mascherone", ricorre ai cellulari la difesa dei coltivatori dei piccoli orti. I “barbari” fanno presto a fare man bassa di tutto. Sono le piccole storie del paese che è diventato il sinonimo dei migliori fagioli italiani. Gli uomini che stanno nella bella piazza circolare dove ci sono gli uffici, i negozi ed i bar sono pronti a partire per andare a smascherare i ladri ... dei fagioli che stanno ancora dentro le bacche. Tutta colpa del successo del legume che ha accompagnato i protagonisti di tanti film western dove anche gli angeli mangiavano fagioli. Sono rigorosamente di Controne quelli che vuole Alfonso Iaccarino per il suo celebrato ristorante, così come li ha fatti cercare Romano Prodi per una esclusiva e recente cena bolognese ed il gastronomo Bigazzi tempesta di telefonate il sindaco Gugliemo Storti per avere congrui rifornimenti periodici. Il successo mondiale del legume alburnino prosegue inarrestabile. In Italia, in Europa, nel mondo dopo che qualcuno ha cominciato a dire che, se consumati in modica quantità , hanno perfino virtù ... afrodisiache. Esagerazioni? Questi fagioli sono bianchi, teneri, gustosi e a cottura rapida. Hanno virtù curative giovando ai reni ed alla milza. Nutrono, non fanno ingrassare. Fanno bene alla pelle delle donne. E come scrisse il vescovo Sarpo, nel 1634, "i fagioli si frequentano da molti golosi di donna". Ecco, a patto di prediligere la modica quantità, le proprietà afrodisiache.
Quest'anno, poi, si profila un'annata eccezionale. Tutto ha concorso alla perfetta riuscita delle coltivazioni, Gli intoppi? Negli anni scorsi erano i tentativi di imitazione, di quando sotto le insegne del paese caro a san Donato, qualcuno infilava o meglio rifilava, nella migliore delle ipotesi, fagioli prodotti a Laurino, Stio e a Campagna. Nel 2004 va in scena la lotta ai ladri che armati buste di plastica e di tascapane battono i campi coltivati e raccolgono al posto dei contadini. Con il prezzo ormai assestatosi sui 12 euro al chilo il saccheggio diventa lucroso. Il sindaco Storti e il capo dell'opposizione, Carmine Ferrante, divisi su tante cose su una concordano appassionatamente: "Siamo il paese del migliore buon mangiare tipico". Dopo il successo dei fagioli ora al centro della scena stanno arrivando anche col miele, il pane, l'olio e, anche se andiamo a finire fuori tema, i ricami ed i merletti delle venti donne che organizza Rosa Piecoro.
LA NOVITA’. I FAGIOLI PRONTI DI MICHELE. Quella che ai più può anche sembrare un'ideuzza semplice semplice è venuta a Michele Stellavato che qualche anno fa ha aperto quella "Taverna degli Antichi Sapori" che tanto ha fatto per dare dignità gastronomica al fagiolo anche nella sua terra d'elezione. "Le donne non hanno più il tempo e fors'anche la voglia di aspettare tutto il tempo che ci vuole per cucinare i nostri fagioli. Diamogli allora un prodotto certificato e già precotto che in dieci minuti può stare nella pasta o essere condito con l'olio extravergine". Studi, molte prove, ed ecco che dalla "Desiderio", piccola industria conserviera di Scafati, sono venuti fuori i primi fagioli (provenienti dalle coltivazioni di Mario Ferrante) pronti da mangiare. Sempre da Michele Stellavato è possibile trovare delle ottime confezioni, a 45 euro, con tutte le migliori specialità contronesi.
L'ACETO DI MIELE DI ANGELO. E’ tra i cinque o sei produttori italiani capaci di trarre dal miele l’aceto balsamico. E’ il miracolo che fanno all’Agrimell, l’azienda familiare di Angelo Campagna. Le sue produzioni sono da “Biopeppe”, accorsata erboristeria di Berna.
L’ANTICA MOSCATELLA. “Che peccato. L’antica moscatella contronese, quella ci permetteva di fare un vino moscato di tutto rilievo, è diventata rara. Si trova solo in quattro o cinque vigne”, racconta Nicola Chiaino, già ragioniere al Comune ed ora cultore di antiche storie contronesi.
I POLITICI. "Con un marchio collettivo comunale tuteliamo i consumatori ed i nostri produttori", garantisce il sindaco Guglielmo Storti. Ci tiene a sottolineare come i “suoi” fagioli abbiano virtù curative giovando ai reni ed alla milza. "E' un fagiolo rampicante - recita l'adottando disciplinare comunale - a forma tondeggiante o leggermente ovoidale, di colore bianco, a buccia molto sottile che comporta una facile cottura senza spaccature". I fagioli di Controne sono stati inseriti da Slow Food nell'elenco delle cento specialità italiane da salvare e la regione Campania ha inserito la Sagra di Controne tra le 10 migliori della Regione. “Non basta – annuncia Carmine Ferrante – perché non destinare il 20% dell’introito della sagra alla manutenzione dei corsi d’acqua che servono per irrigare i fagioli? “.
Oreste Mottola

orestemottola@gmail.com

Arruolati in una "Gladio" per controllare gli ambientalisti degli Alburni




Sugli Alburni Mario Scaramella cominciò a muovere i suoi primi passi da 007. Dopo l’avvelenamento al tallio dell’ex colonnello russo Litvinenko, in rotta con i suoi capi, suo commensale in un ristorante londinese, e l’infarto al diplomatico Igor Ponomariov, presogli poco prima d’incontrarlo, ora Mario Scaramella si nasconde. Ha paura di essere ucciso. Napoletano, 36 anni, un curriculum degno di Le Carrè, è il consulente di Paolo Guzzanti alla commissione Mitrokhin. E’ l’autore di una relazione, ricavata proprio dalle confidenze di Litvinenko, sui legami fra Prodi ed il Kgb. Nel 2004 è coinvolto in una mai chiarita sparatoria ad Ercolano e l’anno dopo assurge di nuovo agli onori della cronaca per le sue rivelazioni sui fantomatici "20 siluri nucleari sovietici" che dal 1970 se ne starebbero a bagnomaria nel golfo di Napoli. —-

di ORESTE MOTTOLA
Erano stati arruolati in una sorta di Gladio che doveva controllare gli ambientalisti degli Alburni dalle infiltrazioni dei russi o della delinquenza organizzata e loro non lo sapevano. E non l’hanno mai saputo, per oltre 18 anni. Mario Ferrante (Controne), Mimmo Rosolia (Sicignano degli Alburni), Giuseppe Melchionda (Serre) e Generoso Conforti (Postiglione) erano convinti di essere proprio loro i ligi difensori della sacra montagna bianca e del fiume Calore. Lo erano i "quadri", ma 30 ragazzi furono selezionati per un duro corso simil – marines. Ed invece? "Allora mi fu chiesta una attività informativa dal Sismi sui rapporti fra criminalità e ambiente, ne era a conoscenza l´Alto commissariato antimafia e iniziò lì la mia competenza sul Kgb che cercava spie in Italia fra gli ecologisti, volevano formare una specie di Brigate verdi. Un bel giorno, mi trovai, per questo, sotto inchiesta a Napoli, Santa Maria Capua Vetere e Salerno; prosciolto in tutti e 3 i casi". Traducendo, il compito di Mario Scaramella allora era di "infiltrare" il nascente movimento ambientalista. Sulla vicenda specifica ci torniamo dopo, ma il richiamo era d’obbligo, perchè proprio dagli Alburni comincia la sua brillante carriera E’ uno che più che di un biglietto da visita, ha bisogno di una pergamena. E forse nemmeno quella riuscirebbe a contenere i titoli affastellati nel curriculum, che si fa chiamare professore ma non ha una cattedra universitaria, che fu imputato (e successivamente prosciolto) nella strana storia di "poliziotti ecologici" sugli Alburni con compiti poco chiari ma è stato pure magistrato onorario, collabora con la presidenza della commissione Mitrokhin per approfondire i rapporti fra Kgb e Brigate Rosse ma si occupa di sicurezza ambientale, discetta di "tecnologie spaziali contro il terrorismo" e "mine atomiche" ma nella vita di tutti i giorni s’interessa alla demolizione delle case abusive per conto dell’Ente Parco del Vesuvio. In una subisce un attentato. Credenziali ne ha tante Scaramella, nel bene e nel male basterebbero a sorreggere due o tre carriere ormai al traguardo della pensione. Solo che lui di anni non ne ha che 36, due matrimoni, due figli. L’ultimo capitolo è quello dell’avvelenamento del colonnello russo che indagava sulla morte della giornalista Anna Politkovskaia, sua amica personale, avvelenato con il tallio radioattivo dopo una cena in un ristorante giapponese di Londra proprio con lui. Nelle settimane precedenti il diplomatico russo Igor Ponomariov fu stroncato da un infarto poco prima di una riunione con Mario Scaramella. Negli Alburni molti lo ricordano bene: "Furono sei mesi avventurosi", le imprese dello"baby 007", il "superpoliziotto pataccaro", che a vent’anni, mise sotto sopra mondo giovanile, politici ed imprenditori. Era il 1990, l’anno dopo se lo ritrovano sui giornali, accusato di essere stato "inconsapevole" strumento di politici coinvolti in tangentopoli e clan camorristici. Una storia chiarita dice lui, dalla quale esce subito accampagnando la motivazione che i russi erano interessati ad "infiltrare" gli ambientalisti. Si laurea in giurisprudenza e ricompare in Veneto a fianco del giudice Papalia e poi in America, in qualche servizio segreto che lo spedisce in Colombia, a combattere i narcotrafficanti e a proteggere la sicurezza dei suoi oleodotti. Si segnala perfino in Angola, come "facilitatore" del processo di pace. Ora lo ritroviamo lungo le sponde del Tamigi, e con lui sembra tornare l’epoca tenebrosa delle spy story che ci avevano accompagnato negli anni della guerra fredda. E’ con Aleksandr Litvinenko, 43 anni, ex colonnello dei servizi segreti russi c’è lui. Mangiano il sushi al ristorante, il russo sta male. La denuncia, accompagnata da accuse a Vladimir Putin di essere il mandante del (finora) tentato omicidio, è di un personaggio da prendere con molte molle, quel Boris Berezovski, oligarca russo caduto in disgrazia e dal 2001 esule a Londra. Uno che ha motivi personali per avercela con il presidente russo.Dietro alle spalle Scaramella ha una storia da "Spectre", che comincia dalle nostre parti, su per i monti Alburni. I primi passi li muove fra le grotte di Castelcivita e punta Panormo, la vetta degli Alburni. Fra Sicignano degli Alburni e Postiglione. Mario Scarammella arriva qui che non aveva nemmeno vent’anni. Usa gli agganci trovati fra gli iscritti al Club Alpino per trovare le persone più motivate alla battaglia ambientalista. Per la verità quelli che incontra sulla sua strada pensano già al Parco del Cilento del quale si comincia a parlare. C’è chi s’immagina consulente e dirigente e chi semplice guardiaparco. Si comincia dai "quadri": Mimmo Rosolia, allora vigile urbano di Sicignano, è il primo. Seguiranno l’ingegnere Pasquale Principato, il medico Generoso Conforti, lo scrittore e professore Giuseppe Melchionda, poi c’è Mario Ferrante, oggi assessore a Controne. Conforti e Principato escono di scena subito, fanno troppe domande, non sono convinti. Gli altri dopo qualche mese. "Con la divisa ed il basco rosso, tanto savoir faire ed enciclopedica competenza ambientale. Nelle caserme dei carabinieri è di casa, sindaci ed assessori fanno a gara per accontentarlo", ricorda chi allora lo ha conosciuto bene. Poi è di estrema destra, dice di essere nipote di un noto senatore missino napoletano. Ai suoi compagni di avventura racconta che "occorre fare sul serio", tace dei suoi rapporti internazionali. Stabilisce la sua sede di rappresentanza a Castelcivita, presso il convento di Santa Geltrude che il comune, allora guidato da Ernesto Cantalupo, gli mette a disposizione. La sede operativa è nelle campagne della contrada Serra, in una scuola elementare dismessa. Ed è lì che chi scrive, spericolato cronista a gratis del "Giornale di Napoli, fa irruzione con Elio Perillo, allora corrispondente del "Mattino", il fotoreporter Giovanni Liguori e Stella Cervasio, allora giovane e rampante giornalista di "Repubblica". C’era una finestra aperta, ma l’avemmo l’impressione che quel vero e proprio covo nessun inquirente l’avesse passato al setaccio. Cosa è successo nel frattempo? Ogni opificio: frantoi, macelli, discariche comunali – e nel 1990 ogni paese ne ha – subisce la sua visita ispettiva. Scaramella minaccia denunce e chiusure. I sindaci si allarmano ed allertano il prefetto che, al tempo, è Corrado Catenacci, già allora con fama da duro. Catenacci non crede alle sue credenziali ed alle sue divise e, non si sa cosa gli disse, ma sta di fatto che da quel momento finiscono le velleità da "poliziotto" di Mario Scaramella. Il "corso" con i ragazzi selezionati va invece avanti. Marce forzate, judo, arrampicate in montagna ed altre tecniche di vera e propria sopravvivenza. E nessuna distinzione fra ragazzi e ragazze. Così fra i 30 la selezione diventa implacabile. Chi non regge il ritmo viene mandato via. Gli istruttori Aghi e Mucibello si comportano da ufficiali dei marines. L’addestramento è di tipo strettamente militare con la capacità di leggere le mappe. All’epoca raccolsi i racconti di Angelo, Alfonso, Pina, Donato e Franca.L’altolà di Catenacci arriva così sugli Alburni. E agli inizi di luglio del 1990, dopo sei mesi di corsi teorico – pratici intensi, gli inflessibili Scaramella, Aghi e Mucibello, fanno sapere che ci si può prendere un po’ di riposo: "sì, andatevene un po’ a mare", fanno sapere. E accade che i tre non si facciano più vedere in zona. Non è ancora l’epoca dei cellulari e così nessuno riesce più a trovarli. Tornano alle ribalta delle cronache con l’operazione Adelphi che un paio di anni dopo le forze scatenano nel napoletano e nel casertano. In quella rete ci rimane anche lui. Per Rosaria Capacchione, de "Il Mattino" Scaramella è stato usato: "Contro chiunque potesse essere d’intralcio all’affare della spazzatura sponsorizzato dalla camorra di Casal di Principe e dell’assessore Perrone Capano". E "Repubblica": …Intimidatore delle cosche per conto del camorrista Perrella e del clan dei Casalesi, soci in affare dell’assessore". Scaramella riesce a non farsi arrestare perché gli verrà riconosciuta la buona fede e fors’anche per la bontà delle informazioni che Scaramella passa a Domenico Sica, allora Alto Commissario Antimafia. "Non lo arrestano per il rotto della cuffia", dice chi lo conosce bene. Da "baby 007" come allora fu definito sui giornali oggi Scaramella, sarebbe, stando a quel che dichiara: "un accademico dell’università di Napoli e consulente della commissione Mitrokhin istituita dal Parlamento italiano per indagare sulle attività del Kgb in Italia durante la Guerra Fredda". Le cronache hanno già conosciuto altri "personaggi in cerca d’autore" usati per montare il caso Telekom Serbia, ora i riflettori si illuminano su quest’ultimo protagonista. Proprio Scaramella avrebbe fatto sì che la commissione Mitrokhin interrogasse Litvinenko, fuggito dalla Russia dopo essere stato messo sotto accusa per alto tradimento. Prima dell’avvelenamento londinese, s’imbatte in bombe e kalashnikov al limitare del Vesuvio Sei uomini, con passamontagna e guanti in lattice, strumenti satellitari ed armamento da guerra (pistole, mitra e bombe a mano a frammentazione fabbricate nell’ Est) lo seguono nella giornata del 12 marzo 2005. Mario Scaramella è con un suo consulente dell’ Ecpp (il programma americano per la sicurezza nucleare) . Sono in una località boscata, nel comune di Ercolano, alle sette e mezza del mattino, in una Range Rover blindata, accompagnati da due agenti. Qui vengono intercettati dal commando che fa fuoco su di loro. Reagendo gli agenti scaricano sugli attentatori tutto il munizionamento delle loro pistole di ordinanza e feriscono almeno uno dei killer, il pregiudicato camorrista Vincenzo Spagnuolo, che viene arrestato. La versione fornita dall’ interessato alla stampa e cioè di essere un consulente dell’ Ente Parco Nazionale del Vesuvio, delegato ad effettuare le demolizioni di palazzine costruite dai camorristi nell’ area protetta, non spiega l’ agguato, del tipo di quelli che si vedono solo nei film di guerra, che si è verificato..Ma chi è allora Mario Scaramella?
Oreste Mottola orestemottola@gmail.com

Cronaca di un'esplorazione quasi completa delle Grotte di Castelcivita


“Mettiamoci in fila indiana” suggerisce la guida. “E facciamo attenzione a dove mettiamo i piedi”. Più andiamo avanti e l’aria è sempre più rarefatta ed anche le voci ci tornano ovattate. Il nostro respiro alimenta folate di vapore, come se fossimo nell’inverno più freddo. Non sappiamo a quanti metri sotto la roccia stiamo camminando. Ma andiamo avanti spediti. Quante storie ci scorrono nella mente in questi antri che portano a risalire la grande montagna carsica degli Alburni. All’inizio, nella notte dei tempi, erano le lotte per contendersi la possibilità di vivere nella grotta fra gli uomini e gli orsi, seguirono quelle fra i pipistrelli e l’uomo cavernicolo, in ultimo arrivarono i carri armati nascosti dai tedeschi durante l’ultima guerra mondiale, quelli che salivano fin sul valico di Camerine e sparavano giù verso Paestum. In mezzo ci sono briganti con i loro tesori. Li elenco in ultimo perché tanti li hanno vagheggiati e nessuno li ha ma mai trovati. Ancora più in coda Spartaco e la sua Norce, ma qui siamo direttamente nel mito. Vera o falsa che sia la leggenda di Spartaco, la ricerca archeologica ha dimostrato che in questa gigantesca spelonca, come nelle altre del Cilento, trovò una sistemazione abitativa l'uomo di Neanderthal. E risaliamo indietro di 40 mila anni fa. Un alone di mistero e suggestione l’ha sempre circondato, erano dette Grotte del Diavolo, e se ne ha una prima descrizione tardi, in una pergamena del 1781.Sì, il più grande libro di storia, geografia e chimica delle nostre zone che è davanti a noi. E’ misterioso e sdegnosamente nascosto al mondo della luce. E’ un vero e proprio universo parallelo. Un patrimonio, dal punto di vista naturalistico e geomorfologico, ancora non completamente valorizzato, con notevoli potenzialità inespresse. Una realtà fantastica, in un paesaggio surreale, fatto di concrezioni, stalattiti, stalagmiti, e tante altre migliaia di immagini, che l'occhio umano vede ma non riesce a registrare.
"..E fu un sogno. un sogno di visioni estasianti, di bellezze sempre nuove. E questi tre giovani, ebbri, come avvinti in un incanto, presi tutti da un fascino possente, andarono. Fino alla fine! Fino nell' imo di quelle tenebre profonde che mai luce aveva squarciato, fino a che un laghetto di acqua limpida ed azzurrina loro si paro' davanti”. Queste le prime impressioni di Nicola Zonzi, farmacista di Castelcivita, che con Luigi Perrotta e Davide Giardini, nel novembre del 1927, tentò di penetrare nell'intimo delle visceri di questa spugna gigantesca, per svelarne i suoi plurimillennari segreti. Potremmo sottoscrivere anche noi, moderni emuli di quei coraggiosi, un attimo prima di quando ci troviamo davanti alla prova del buio assoluto. Abbiamo camminato, all’andata, per più di due ore con il casco in testa e le lampadine, sembravamo minatori al lavoro. Ai bordi del Lago Sifone, uno dei grandi pozzi, un orrido da almeno ottanta metri d’acqua che non si sa dove va a finire. Che è pura, va da un verde chiaro all’azzurrino, di quelle tonalità che all’aperto non ne vedrai mai così. Spegniamo le lampadine e facciamo tutti silenzio. Siamo nel ventre degli Alburni. Non c’è il cielo sopra di noi ma concrezioni calcaree che diventano stalattiti e stalagmiti. Le più piccole hanno qualcosa come diciottomila anni. “Se ci girassimo un paio di volte su noi stessi perderemmo sicuramente l’orientamento”, racconta Gaetano Costantino, la nostra guida. Qui non si applica la lezione di Gino Paoli che vedeva il cielo in una stanza. L’esperimento dura pochi attimi. A tutti però sembrano un’enormità. E’ il soffio dei milioni di anni di questa cavità che sentiamo su di noi. Il primo a riaccendere è Giuseppe Verrone: fa plik alla sua lampada all’acetilene e la fiammella ci restituisce al tempo presente. Sulle pareti c’è il rosso delle presenze del ferro, il grigio del carbone o delle sostanze organiche in via di fossilizzazione, i lustrini creati dal carbonato di calcio. Perché la riconquista dell’uomo moderno di queste grotte è cominciata da poco, dal 7 febbraio del 1889 quando dei ragazzini di Controne, i fratelli Ferrara, decisero di calarsi giù dalla piccola entrata (ampliata solo poco il 1930). Giovanni e Francesco Ferrara, con due lucerne ed alcuni fiammiferi, incuriositi dalle dicerie popolari, vi si addentrarono, ma dopo pochi metri, per le esalazioni di acido carbonico, rimasero al buio per sei giorni in attesa dei soccorsi. Purtroppo, Francesco morirà sulla via del ritorno a casa, Giovanni rimarrà segnato per sempre. I veleni erano quelli del guano, i giganteschi depositi del letame dei pipistrelli. Ci misero degli anni gli uomini della Montecatini per toglierlo e trasformarlo in straordinario concime biologico.
L’appuntamento per la nostra gita è per le 14.30 di una domenica. Con un tam tam sono state raccolte poco più di una decina di persone disposte a farsi inghiottire per quattro ore dalle viscere degli Alburni e del fiume Calore: le grotte di Castelcivita. La singolarità dell’impresa è che con scarponcini ai piedi e lampada alla mano percorreremo tutti i 3 chilometri e 300 metri della cavità carsica, e non solo quel poco più di un chilometro del percorso turistico. Quando, e si sono fatte le 18.30, usciamo all’aria aperta stanchi ma in noi c’è l’emozione di aver fatto una straordinaria cavalcata nella storia dell’evoluzione del nostro ambiente naturale. Ed è valsa la pena spendere i 20 euro del biglietto (la normale visita costa 8 euro).
Oreste Mottola
orestemottola@gmail.com