martedì 27 marzo 2012

Piccirillo, il trattorista

Grande trattorista contoterzista o rivenditore di pneumatici? Aratore o trebbiatore? Antonio Di Verniere, recentemente scomparso a quasi novant’anni ci teneva a ricordare altri suoi record: sessanta uova fresche bevute per scommessa in poco più o meno di un’ora; l’essere riuscito a entrare in Svizzera legalmente ma senza documenti e la partecipazione alla seconda guerra mondiale senza sparare un colpo. E i primi mestieri svolti da bambino, a Persano: dallo “sciolaciaule” all’acquaiuolo. A seguire i suoi meriti nel campo della meccanica agricola, dove fu un innovatore, e la capacità di tenere buoni rapporti con tutti, dispensando parole dolci, e poi i cinque figli tutti colti, con laurea, ma rigorosamente alla mano. Non aveva le ipocrisie del commerciante nato, zi’ ‘Ntonio Piccirillo nato nel 1922, nell’anno della marcia su Roma. Nell’Altavilla del secondo dopoguerra era uno che, semplicemente era ben disposto verso tutti, e dalla sua libretta piena di carte, sciorinava tessere del Pci e della Dc, dell’Azione Cattolica e della Cgil. Poiché a nessuno voleva dispiacere. Primo passo indietro: perché l’abbiamo sempre chiamato Piccirillo, tanto che molti hanno sempre ignorato che avesse un cognome diverso da Piccirillo? Tutto comincia da Persano, l’attuale zona militare, dove il nostro trascorre la sua infanzia, libero e felice. Ci arriva per i meriti di guerra e politici del padre. Le elementari le ha frequentate su al paese in collina e sulle sue pagelle, lo ricorda spesso ai nipoti, c’era sempre scritto un giudizio assai lusinghiero: “lodevole”. A zi’ ‘Ntonio sarebbe piaciuto continuare gli studi, ma nell’Altavilla degli anni Trenta questa possibilità era appannaggio solo di poche famiglie. Approda così a Persano, dove il padre ha un impiego. E comincia la sua carriera. A 10 anni il piccolo Antonio è “sciolaciaule”, vale a dire addetto a spaventare quegli uccelli, le ghiandaie, della famiglia dei corvidi, che depredavano le grandi coltivazioni di frumento e foraggi che alimentavano le scelte mandrie dei cavalli. Solo l’anno dopo è già promosso “acquaiuolo”, ovvero trasportatore d’acqua per le centinaia di braccianti e mandriani dell’allora tenuta reale. C’è un gruppo nutrito di giovani donne al lavoro, sono le “jevulese”, le ebolitane, che si distinguono per l’orgoglio nel loro lavoro e anche per modi comportamentali chele nostre compaesane non si permettevano. Per loro è subito “chillu bellu picciririllo”, sia per l’età che per l’altezza. Da qui “Piccirillo”. A 17 anni, zi’ ‘Ntonio è a Roma, studente al Centro per la meccanica agraria delle Capannelle, dove la parte pratica è preponderante. Poteva restare alle dipendenze statali a Persano, ma scelse la libertà di non stare sotto un padrone, seppure statale. In mezzo c’è la guerra, anche Antonio deve partire, ma riesce – non si sa come – a esercitare il suo pacifismo, quello che rimarrà sempre il tratto fondamentale del suo stile di vita. L’armistizio dell’8 settembre del 1943 lo coglie nei dintorni di San Marino e dalla repubblica del Titano comincerà la lunga marcia a piedi. Da sbandato, così come venivano chiamati i nostri soldati che semplicemente scelsero individualmente di mettere fine alla loro partecipazione a una guerra che non avevano mai sentito come propria. I tedeschi e i fascisti lo arrestarono e stavano per fucilarlo dopo avergli anche fatto scavare la fossa. Ma accadde qualcosa, forse un agguato dei partigiani, e lui riuscì a scappare. Tornato al paese cominciò la vita che aveva sempre sognato: padrone dei suoi mezzi di lavoro, un dipendente Alfredo “il salariato”, terre da arare e grano da trebbiare. Per oltre 40 anni ha trebbiato il frumento di Polla, ospite dell’aia della famiglia Sasso, e sempre dimenticandosi di avvertire che a Caggiano non avrebbe più fatto in tempo a passare. Il figlio Germano, il geologo, ci riassume la sua filosofia di vita: ”Quando era periodo di lavoro intenso (aratura o trebbiatura) la sera a casa era assediato da tantissime persone ognuna con le sue esigenze e che pretendeva le prestazioni di mio padre per il giorno dopo; lui era quasi costretto a promettere a tutti di andare per l'indomani e quando restava finalmente solo, si affacciava sulla porta, guardava il cielo e diceva "ah! si chiuvesse nu poco"; in questo modo la pioggia avrebbe messo tutti d'accordo. Allo stesso modo quando era assillato da tanti impegni dopo una giornata di duro lavoro senza respiro, era convinto che bisognasse staccare la spina e riposare, sentenziando "dimane juorno luce"; vale a dire dormiamoci sopra, domani al far del giorno di vedrà come affrontare nuovamente i problemi”. Va ricordato il suo talento nella meccanica che si esprimeva nei miglioramenti alle funzionalità che apportava e che – senza nulla pretendere – faceva presente alle varie case costruttrici. Infatti, da Landini, a Reggio Emilia, o alla Laverda, nel bergamasco, era di casa e vi trascorreva lunghi periodi. “Partiva, in treno, e non avvertiva sul ritorno, anche perché mica lo programmava quei viaggi”, ricorda Germano. Un genio, per tanti aspetti diversi, che non ha mai messo l’aspetto commerciale in testa alla sua azione. Ritirato dall’attività professionale non tanto a causa dell’età che si faceva più avanzata ma perché il mondo agricolo nel quale era cresciuto, dove la parola data contava più di una firma, stava radicalmente cambiando. Zì ‘ntonio mai aveva rinunciato alla sua bonomia e simpatia e durante le gite dei soci della Bcc Altavilla lui era l’animatore quasi ufficiale. Al suo funerale questi racconti passavano di bocca in bocca e lui sembrava comparire ora di qua e ora di là, come lo è già nella letteratura altavillese, dove è nelle pagine di padre Candido Gallo, Franco Di Venuta e Rosario Messone.

Oreste Mottola