Due giovani che si guardano negli occhi. Si prendono per mano. Innamorati.
Cercano un ristorante. Indugiano per le stradine del paese. Trovano il panificio col pane più buono del mondo e la pasticceria delle meraviglie.
Il bar che prepara una fragolata da sballo. Dietro di loro una montagna con mille e più opzioni per il trekking.
E nei boschi l’origano più profumato del Salernitano, le fragoline e tanti funghi porcini.
Giù, a qualche chilometro, c’è l’agriturismo con il percorso della salute.
Per soggiornare, c’è da scegliere tra quattro alberghi.
È questo, a 40 km da Salerno e 26 da Battipaglia, l’Acerno da scoprire.
Sì, soprattutto dai più giovani: qui non ci sarà lo chic appeal della Costiera o la consuetudinarietà di qualche altra località marina.
Per tutti
Ma pensare che questa sia una località adatta solo a chi abbia un’età non più verde, sinonimo di tanta voglia di tranquillità, è un luogo comune: il tennis, le feste della discoteca all’aperto, l’elezione di miss Acerno e la palestra a disposizione dei più esigenti.
Ed ancora gare di modellismo, motocross e calcetto.
Tra qualche mese costruiranno la piscina comunale.
I giovani di “Acerno in sella” propongono escursioni a cavallo verso le più rinomate località.
E, per gli appassionati, presso il Municipio, è conservata una zanna dell’Elephas Antiquus, il mammouth, un reperto di almeno 400 mila anni fa. Quasi come Ciro, nel Beneventano.
E pochi sanno che un’acernese, Giovanni Potolicchio, barman del “Piccadilly”, prepara un cocktail, a base di Cointreau, pluripremiato al “Drink Festival”, l’Oscar del settore, che si tiene ogni anno nell’isola di Malta.
Fantasie? Navigando su Internet si scopre che un giovane studente universitario barese ha allestito un intero sito per “dichiarare” tutto il suo amore per Acerno: «Il posto che amo di più è Bardiglia, con il suo ruscello e i suoi pascoli. La prima volta ci venne mio padre, aveva 20 anni, con l’Azione Cattolica. E da quando sono nato che anch’io ci torno sempre volentieri».
Il “viaggio”
Lasciate le congestionate strade di Battipaglia e di Bellizzi, dopo gli incroci con Giffoni, Olevano, i tornanti sono resi dolci dai boschi di faggio, una sosta alle fontane, gli slarghi con i noccioleti.
Acerno si scopre un po’ alla volta, e con studiata parsimonia, al visitatore.
Un incrocio. La Piazza. Via Roma, la via elegante e del commercio. Il viale per Montella annuncia la montagna.
Oltre, a 20 km, c’è l’altopiano del Laceno.
Con un po’ di fantasia possiamo dire di trovarci nel mitico regno delle montagne dominate da fate con la testa adornata dai rami dell’asfodelo o dalle felci. Con cinquemila ettari di bosco ce n’è a sufficienza per nutrire le vostre voglie di new age.
V’interessa ancora poco? Sentite ancora. Come ad Acerno il tripudio di sapori che vengono dalle cose buone della natura sono trasformati in cibi prelibati, ha pochi eguali. «L’amenità d’aere d’Acerno più che salubre, acque cristalline, di facile digestione, ambiente ventilato da salubri venti», correva l’anno 1646 ed i Priori e Dottori Ordinari della Scuola Medica Salernitana, prescrivevano così questa località come la più indicata per riprendersi dalle convalescenze. Tre secoli e mezzo dopo quella vocazione di “polmone verde”, è ancora più attuale.
Vi interessa solo riposare, mangiare, dormire?
Acerno è pronta: per una permanenza di pochi giorni o di un mese: ettari ed ettari di monti ricoperti fittamente di aceri, castagni, lecci, ontani, faggi, olmi e pioppi bianchi, e poi gli altopiani e l’impetuoso rincorrersi d’acque, dodici bar, sette chiese, due pub, un allevamento di trote ed un centro ippico. E quel che resta della cartiera e della ferriera, la storia industriale dei secoli passati.
La gola
E poi un salto presso la bella biblioteca comunale vi aiuterà a trovare altri punti di partenza per aiutare la vostra fantasia. Ma iniziamo… dal dolce.
Dalla fragolata o dalle “pasticelle” fatte con le castagne, sì quelle preparate coi frutti più profumati raccolti nel bosco, delizia offerta, anche a William Moens e al reverendo Murray Aynsley, e addolcì l’avventura di un sequestro iniziato a maggio, mentre le castagne furono il nutrimento di Fritz Wenner, Isacco Friedli, Johan Jakob Lictensteiger e Rodolfo Gubler.
Inglesi, i primi, svizzeri gli altri: tutti “turisti per caso”, trascorsero alcuni mesi sulle montagne di un’Acerno da poco unita all’Italia dei Savoia, involontari ospiti dell’acernese banda Manzo, e presero dimestichezza con i doni della natura che qui annunciano, e dividono, l’estate dall’inverno.
Gli “ospiti” mangiarono anche il pane fatto in casa, le soppressate di maiale (la prima volta Moens le rifiutò e poi – non poteva essere altrimenti vista la straordinaria qualità delle carni di queste parti- se ne pentì) e la pecora cotta.
E Moens, che a Londra era agente di borsa, fece anche i conti in tasca al capobrigante Gaetano Manzo, l’ex caciaio dalla faccia buona. «I quattro quinti del riscatto se ne vanno solo per mangiare», scrisse nel libro: “English travellers and Italian Brigands; a narrative of cature and captivity”.
Ecco, ove mai esistesse una “Antologia di Spoon River” dei briganti di Acerno, le loro tombe se ne starebbero lì a sghignazzare. Dopo più di un secolo e con le loro vite ribelli finite nei modi più diversi (chi finì fucilato, chi in carcere, chi da vecchio – e dopo 46 anni di carcere duro – tornò a pascolare pecore e vacche e a far formaggi sull’Acellica e
sul Pian del Gaudo) continuano imperterriti ad animare le loro scorrerie in quel grande mare che è la fantasia umana.
Politica e fusilli
Incrociando senza soste nelle latitudini calme dei “genius loci” (Gennaro Giffoniello e Donato Vece) e in quelle assai più agitate dei… cercatori di tesori. Sì, si divertivano un mondo le migliaia di ragazzi che arrivavano ad Acerno nella colonia montana dei ferrovieri ed in quella dell’Azione Cattolica.
E poi con le scuole estive per i “giovani leoni” della Democrazia Cristiana degli anni ’50 e ’60, la classe dirigente dei decenni successivi: di quando Acerno ospitò una scuola politica che formava i politici cattolici.
I più giovani tra i visitatori d’allora erano affascinati dall’idea di ritrovare i tesori dei briganti, magari nascosti nei tronchi
dei grandi tassi dei piani di Verteglia, come nelle vecchie ceppaie di castagne. Ma i veri tesori di Acerno, e chi abita qui lo sa bene, sono altri.
A cominciare dal buon mangiare: dai fusilli preparati con le asticelle di legno e conditi col ragù di carne di bestiame allevato allo stato brado, i funghi alla brace in tortiera in tortiera, gli gnocchi col sugo di tartufo, delle trote e delle tinche del Tusciano, che qui ancora è vivo: insomma, c’è davvero da scegliere.
Per secondo, c’è il capretto al forno, magari accompagnato ai fusilli, cotto in lunghe tortiere di rame stagnato. Per gli aromi? E ad Acerno c’è abbondanza del condimento preferito da Giacomo Casanova. Ma la “trifola” è un affare di famiglia, si trova solo da maggio a settembre, di notte, quando il sole cala e s’accende la luna.
Perché il tartufo è fedele nel tempo, lo si ritrova l’anno dopo là dove lo si era stanato l’anno prima. Basta saper tenere il segreto. E aspettare.
Per tenere il segreto serve la complicità della notte.
La Masseria Cugno
I formaggi? Produrre formaggi è un’arte che si tramanda da generazioni.
Nomi come Di Lascio e Villecco, poi insediatisi un po’ dappertutto verso la pianura, sono partiti dai monti d’Acerno. Agostino Villecco è arrivato fino in Sardegna ed i discendenti producono la maggior parte del formaggio pecorino italiano e dei molli, 40 marchi e 15 milioni di litri di latte trasformato.
Ma ad Acerno è rimasta la produzione di qualità. A forma di stella, tronco, colomba o cuore. Treccioni, caciocavalli, scamorze, ricotta di pecora, budini e ciambelle. E la robiola. Con dentro una varietà di sapori: dal prosciutto, dai sott’olii, dal peperoncino e dai funghi.
Il laboratorio del gusto dove valorizzano anche le sfumature dei cibi (come una normale frittata insaporita dalla menta, una sorpresa) è la Masseria Cugno.
Una tenuta da cinquantacinque ettari tra i boschi, dove domina Erminia Giuliano, una padrona di casa compassata ed elegante, capace di passare dal laboratorio dove prepara ottime confetture e marmellate di castagne e more,
ai concerti di pianoforte. Intorno ci sono le mucche e le caprette camosciate delle Alpi di Donato Nicodemo. «Non si può pensare bene, amare bene, dormire bene, se non si è mangiato bene», lo scrisse Virginia Woolf.
Condividete? Venite a cercare conferma ad Acerno.
Zottoli e gli altri
Acerno, che è tra il salernitano e l’avellinese, si trova ad un tiro di schioppo dalla Puglia e dalla Lucania, ha tutte le caratteristiche dei territori di confine. Già il dialetto con quell’accento incentrato sull’”e” aperta, come nell’Agro o a Bari.
È zona, dove, per secoli e secoli hanno trafficato vescovi e briganti, soldati e baroni, contadini e pastori, monaci
ed artisti. La tradizione pastorale ed armentizia viene mantenuta con una manifestazione invernale, nel periodo natalizio, nel corso della quale, ogni rione di Acerno accende un grande falò.
«Tutti i presenti mangiano, cantano, suonano», racconta Alfonso Boniello, assessore al turismo. «Terra di santi e
di malabitanti», dice un adagio locale.
Certo non è più «Diocesi benemerita, sede capitolare, con dieci chiese ed in più la cattedrale», come canta l’elegia scritta da Donato Cerrone.
Già dal 1818 non c’è più il Vescovato.
Il tempo, e poi il terremoto del 1980 hanno cancellato altre interessanti testimonianze del passato. Tuttavia, vi resta una storia religiosa di tutto rispetto.
Un vescovo di Acerno, Marcello Cervini, diventerà Papa col nome di Marcello II.
Il primo dizionario italiano/cinese è di Angelo Andrea Zottoli, natali ad Acerno e missionario in Cina.
Per millenni vi hanno disseminato a piene mani storie e leggende. Hanno dato sapore e suggestioni a viuzze di
montagna, a vigorosi ruscelli e a scomodi anfratti.
Come quelle tre pietre dove c’era il nascondiglio del brigante Manzo e dove la dolce Carolina, la fidanzata, lo raggiungeva.
I personaggi
Lo spirito d’avventura è entrato nel dna dei suoi abitanti: «Al momento della partenza ci strinsero la mano, alcuni persino ci baciarono e anche ci chiesero scusa.
Ci scambiammo reciprocamente gli auguri di buona fortuna…». È la scena di quando la banda del brigante Manzo rilascia l’industriale svizzero Wenner, ed alcuni suoi collaboratori.
I briganti fanno persino una colletta “diciassette napoleoni d’oro” per le necessità del viaggio verso Salerno degli ormai ex sequestrati.
E Sickelmanno che nel X secolo inventava macchine da guerra per il principe di Capua o un Vitale Juppa, il musicista che nel 1869 riunirà tutte le bande musicali d’Egitto per poter far risuonare al meglio l’Aida di Verdi, all’inaugurazione del canale di Suez.
Ora tutto questo affacendarsi è per pacifici vaccari e “castagnari” locali e per i turisti intelligenti, curiosi ed intraprendenti.
Come fece Giustino Fortunato, che dal 18 al 20 settembre 1878, attraversò le montagne di Acerno, accompagnato dal medico Nicola Parisi. Un ritorno, quello grande meridionalista, in questi luoghi c’era già stato il mese prima, insieme col duca di Cardinale. Fortunato e Parisi, vollero togliersi lo sfizio di compiere sia l’ascesa dell’Acellica (1660 mslm) e del Polveracchio (1798 d’altitudine). «Accordi misteriosi, voci indefinite, che non si sa donde vengano e che compongono – scrive Fortunato – la stupenda sinfonia della natura».
Questa è Acerno. Di ieri, oggi e di sempre.