venerdì 9 dicembre 2011

Colliano: agnelli, zampogne, tartufi e il segretario di Starace

Luci ed ombre della ricostruzione. “Una città del Sele” è il sogno di D’Ambrisi
di ORESTE MOTTOLA orestemottola@gmail.com

Qui “Carni no strane”, è scritto proprio così, l’insegna nuovissima della macelleria all’ingresso del centro cittadino parla da sola. Benvenuti a Colliano, qui dove uno scrittore come Massimo Grillandi ci “cacciò” la trama per uno dei suoi racconti più suggestivi, quello del dottor Andrea, ma oggi nessuno lo ricorda. Qui ganno avuto i batali Beniamino De Vecchis ordinario all’università la Sapienza di Roma, Pietro Capasso giudice alla corte Costituzionale e Sottosegretario all’ Agricoltura. E … dulcis in fundo, Vito Borriello segretario particolare di Achille Starace, il gerarca delle coreografie delle grandi adunate fasciste. A Colliano ci siamo arrivati due giorni dopo che Francesca, una ragazza del paese, dopo una nottata di tormenti, ha deciso di non presentarsi alla celebrazione del matrimonio lasciando di stucco un paio di paesi (c’è anche quello dell’ex sposo) e scatenando così la stampa provinciale. Questi sono paesi dei quali i quotidiani provinciali parlano solo per tragedie o farse. La storia del matrimonio mancato è tragedia per chi l’ha vissuta da protagonista e farsa per chi è corso a giocarsi i numeri al lotto.

Tartufi e zampogne

Colliano è il paese dei tartufi e dei ciaramellari. Produce l’agnello più saporito, gli ottimi caciocavalli del brigante e salumi fatti in casa e sopraffini. Dove il farmacista si chiama Amato Grisi ed è il maggiore studioso della storia della Valle del Sele ed il tabaccaio è Carlo Fumo, cesellatore di belle storie di vita collianesi su ” Il Saggio “. Il santo protettore è San Leone, e così tanti hanno questo nome. Troppi, ed è così che abbondano le varianti sul tema. Leone, detto Lilino, Napoliello, 73 anni, è stato insegnante elementare pur avendo una laurea in lingue presa all’Orientale. Negli anni Cinquanta scriveva le lettere di presentazione ai compaesani che volevano emigrare in Francia o in Svizzera. Un industriale parigino, quando seppe, da un suo operaio collianese, del caso di questo professore che assisteva chi andava in cerca di un avvenire migliore, volle conoscerlo, così come la figlia, che volle anche sposarselo.

Paese di individualisti

“Questo è un paese di individualisti. E’ la nostra condanna. “, dice mentre esce dal bar. Leone Tartaglia è “Leo” per gli amici ed ha buttato il sangue per dare un’utilità ad palazzetto dello sport costruito coi fondi della ricostruzione… in un bosco. Ha sempre un sorriso sincero stampato sulle labbra, non nasconde l’amarezza. “Non ho ricevuto aiuti. Il campo di calcio, il tennis, sono disseminati in altre parti del paese. Così non si va avanti. A 22 anni prese la valigia e se nandò a Genova. Nei fine settimana tornava a Colliano e con le sue mani si costruì la casa. Con i suoi risparmi, non con i soldi del terremoto”. Gerardo Strollo di professione fa il veterinario ma “l’animale” che più l’appassiona è il suo paese. Ha valorizzato quant’altri mai il tartufo, organizzando perfino una mostra mercato – nazionale ed una rivista quadrimestrale: “La via del tartufo”. “Dalle 15 alle 20 famiglie vivono agiatamente di questa attività”.

Il ratto delle Sabine

Il preside Adriano D’Ambrisi, figlio di falegname e laurea in matematica, guarda ad Oliveto Citra e, scherzando ma mica tanto, vagheggia una sorta di moderno “ratto delle Sabine”. “Gli olivetano ci sanno fare. Grandi commercianti, eccezionali lavoratori, sanno anche mettersi assieme”. Il professore Napoliello, “il parigino”, tira fuori un recente reportage di “Unico” sul paese vicino dove era stata affacciata la tesi dell’esistenza di un rapporto tra sviluppo dell’economia e diffusione del protestantesimo. “Osservazione acuta, è proprio così”. Grazie, professore. Andrea Goffredo, un altro insegnante, recrimina sulle classi dirigenti del passato: “Ci hanno abituato alla divisione degli uni contro gli altri”, dice. Luciano Fasano parla di effetto “Cinecittà” della ricostruzione che tanto si allontana dalla piazza principale e più diventa approssimativa. Franco Annunziata è un ingegnere: “Le nostre campagne sono state polverizzate dalla possibilità data a chi non era lavoratore della terra di potervi trasferire la propria abitazione”. Mauro Iannarella da poche settimane è stato eletto presidente della Pro Loco: “Oggi facciamo i conti con venti anni di ricostruzione sbagliata che ha tolto l’anima a questo paese”. A parlare, in questa domenica mattina collianese, è l’intellettualità paesana: “Siamo emarginati. La classe politica non ci ascolta”, dice D’Ambrisi.

Ricostruzione da 50 milioni a testa

“E’ stato stimato che la ricostruzione a Colliano è costata 200 miliardi, 50 milioni per abitanti. Non lo dico io, lo ha scritto Il Corriere della sera”, sospira Luciano Fasano. Un altro choc. Eppure il post terremoto di Colliano è portato ad esempio, ed è preceduto solo da Valva per aver rispettato il paese originario. “Sono stati venduti a 1000 lire i nostri coppi che stavano sui tetti e sostuiti con materiali scadenti che costano un decimo. Sono spariti – dice ancora – anche i portali. Rubati o venduti a niente “. Coi fondi del Pit Antica Volcei sta per essere recuperato Palazzo Borriello, al “Chiazzillo” o “Riccio”, come i collianesi chiamavano questa piazza. Ottima iniziativa, ma dopo un quarto di secolo della costruzione nobiliare rimangono solo le mura. Così come all’imponente palazzo Augusto , a ridosso della chiesa madre. “Adagiata come in una conca, immersa fino alla gola tra i castagni e gli ulivi, fusa in un groviglio di case e strade, dove tutto finisce poi per fare da ornamento…”., così la racconta Carmine Manzi. Che continua: “Colliano è adagiato sui monti che sono alla sinistra del Sele: a prima vista dà l’impressione di essere un paese depresso e di starsene un po’ in disparte, quasi sonnacchioso; poi te lo vedi dinnanzi con la estesa zona dei suoi boschi e con tutte le altre tipiche caratteristiche dei comuni montani, una vegetazione fitta ed in alcune parti quasi selvaggia ed inesplorata, gli ulivi pressochè centenerai, le viti, i castagni, le case sparse ed a gruppi, dello stesso colore…”.

Visita a Collianello

Il 10 luglio l’attiva Pro Loco ridarà vita a Collianello con un maxi concerto di musica etnica che sposerà taranta e zampogna. “Case abbracciate alla stessa roccia, dai tufi che rivelano spesso le crepe del tempo e dove anche il selciato sembra conservare le impronte di quelli che furono i suoi primi abitatori”, scrive Manzi ed una visita veloce ci rivela un mondo primigenio, fatato, con pochi abitanti (poco più di trecento) con alcuni di loro ancora dediti ai vecchi mestieri. E’ per Gerardo e Luciano il paesello dei loro nonni, conoscono i vicoli perchè ci venivano a giocare da bambini. “Gli uomini? Sono alla Scara. Carosano le pecore”, dice l’anziana che si affaccia all’uscio e riconosce il gruppo. Decine di giovani visitatori si aggirano curiosi. “Quasi vent’anni di promozione saranno pure serviti a qualcosa”, si schernisce Gerardo Strollo.

L’mprenditorialità con le risorse locali

Torniamo al capoluogo: Colliano. Le novità sono nella crescita di nuove attività imprenditoriali che chiudono con la “bolla” dei soldi facili che giravano attorno alla ricostruzione. Un esempio è il “Panificio Biscottificio Pasticceria” di Erminia Gugliucciello, che ha come slogan “Il buon pane cotto a legna”, con il marito della proprietaria che dapprima ha fatto l’imprenditore edile e poi si è inventato questo panificio artigianale che, in poco più di un decennio, ha imposto all’attenzione provinciale “il pane di Colliano” e presso il punto vendita offre anche una ricca gamma di dolci e pizze di tutti i tipi. La conduzione è tutta familiare e il preside D’Ambrisi addita proprio questa azienda come esempio dello sviluppo che può arrivare solo dall’intelligente valorizzazione delle risorse locali. Lo stesso avviene per le macellerie e per i tre caseifici che puntano tutti sulla ricotta e sul caciocavallo di Colliano e sul latte delle 23 mila pecore che ancora popolano la zona dell’Alto Sele e del Tanagro. Le tradizioni ritornano prepotenti sulla scena. Antonio Tateo racconta con delle belle fotografie dei Russo e degli Strollo che costruiscono zampogne e ciaramelle e le relative “ance” indispensabili per emettere i suoni, i “tuoni” come dicono gli zampognari. Lo stesso fanno Giuseppe Carbone , Rocco Iannarella e Carmine Di Lione.

Da quel 23 novembre di 25 anni fa tutto è cambiato

Il punto di svolta, benedetto o maledetto, secondo i punti di vista rimane il terremoto, qui non fece solo tre morti e distrusse le case:”Da quel momento ci si è immessi in un mondo nuovo, tutto è trasformato e molte cose non sono state dimenticate”, sottolinea Grisi. A partire dalla rivoluzione di 4500 persone che fino a 25 anni fa vivevano addossate le une all’altra ed ora si sono disperse in un territorio di 53 Kmq. “Chi abita vicino a Oliveto, Contursi, Palomonte ha ormai troncato i rapporti col vecchio centro”, dice Luciano Fasano. “Sono rimasti gli anziani. Le classi di mezzo, che erano bambini durante il terremoto , se ne sono andati – aggiunge – nelle nuove contrade”. E’ questa nuova realtà che spinge Adriano D’Ambrisi, Angelo Di Guida e Andrea Goffredo a cominciare ad “accarezzare” l’idea di spingere sempre più l’acceleratore sull’idea di una vera e propria “città dell’Alto Sele”. Non potendo attuare lo “scambio” di dna con gli olivetani, potrebbe essere una via d’uscita dalle angustie di una comunità che ha storia, risorse naturali e sapori da vendere ma lamenta “la capacità di fare sistema”. E’ la vera dannazione meridionale.