martedì 13 gennaio 2009

Alla Stazione di Paestum

oreste mottola

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orestemottola@gmail.com

 

"La Stazione ha scritto la storia. Ci sembrava di vivere come nel West o meglio ancora in un bel film d'avventura. Non ci annoiavamo tra i contrabbandieri, gli Indiana Jones, simpatici imbroglioni che arrivavano dal napoletano, i più grandi archeologi del tempo, Maiuri e Sestieri, Zanotti Bianco e Mario Napoli. O un folksinger ai suoi primi tentativi come Otello Profazio, anche lui figlio di un ferroviere, le sartine che venivano a piedi da Agropoli, le belle ragazze tedesche che facevano sognare e i ragazzi del nord Europa che poi sono diventati presidenti della Repubblica tedesca", così Michele Paradiso, figlio di "don Nicola", storico capostazione dal cuore grande, che pagava di tasca sua gli abbonamenti ad alcuni ragazzi che andavano a scuola ad Agropoli, e di Irma, che offriva un caffè a tutti, racconta gli anni Cinquanta e Sessanta vissuti tra Porta Sirena, la Cirio e l'area degli scavi che era tutta aperta e circondata solo da rigogliose siepi di rose rosse. A poche decine di metri dalla Stazione di Paestum c’è la casa natale di Sergio Vecchio. Scendi dal treno e, se sei attento, puoi già vedere. Però ti devi fermare. Guardare oltre le porte, farti prendere dalla curiosità. Ad un primo sguardo vedi un grande tavolo, delle sedie. E’ rivestita con i preziosi marmi di Calacatta, più pregiati del Carrara, ed ha i mobili in ricercatissimo stile classico. La più bella sala d’attesa di prima classe di una stazione ferroviaria italiana è a Paestum, nella Magna Graecia. Costruita nel 1936, per la visita del Re e di Mussolini , è stata più aperta solo ai viaggiatori d’altissimo rango. Le eccezioni, come vedremo, era quelle che faceva Nicola Paradiso, capostazione comunista che queste discriminazioni di censo e di portafoglio non le sopportava. Il salottino è delizioso. I viaggiatori passano distratti e non colgono il tesoro di gusto che è appena appena velato alla loro vista.

Non vi fecero certo accomodare Cesare Pavese che pure si fermò una notte prima di proseguire per il suo confino calabrese. Vi si sedettero Zanotti Bianco, alto due metri e magrissimo, e la Zancani Montuoro che l’accompagnava. Così come il principino Umberto. Questa è una delle meraviglie di questo luogo incantato che è la stazione ferroviaria a servizio dell’area archeologica. [1] Imbocchi l’ uscita e, dopo un viale alberato, a poco più di cinquanta metri si entra dentro a Porta Sirena. Settecento metri a piedi, dentro alla città antica in mano agli abitatori del Sette – Ottocento, toccando le antiche stalle e gettando uno sguardo a Villa Salati, eccoci davanti ai templi. A fare da angolo è “La Taverna delle Rose”, ieri vecchia taverna che rifocillava i carrettieri che dal Cilento si portavano a Salerno.

“I terreni davanti alla Basilica, a Nettuno ed al tempio di Cerere si sono coltivati a pomodori e carciofi fino all’ultima guerra” raccontano i vecchi pestani. "È come se un dio, qui, avesse costruito con enormi blocchi di pietra la sua casa": queste sono le parole di stupore misto ad ammirazione di Friedrich Nietzsche davanti ai templi dorici di Paestum. Centinaia di migliaia di visitatori ogni ogni anno hanno lo stesso pensiero. Voi però dovete comprare il biglietto. Girate a destra e camminate. Perchè in questa Stazione di oggi non si vendono più ticket ferroviari. Si trovano al “Bar Anna”. Tagliando alla mano possiamo tornare indietro. Passeggiata nella storia offerta da Trenitalia. Nella stazione c’è una mappa del percorso da fare, a cura della biro un viaggiatore che l’ha riprodotta, con il corredo di parole di rabbia.

 Da Porta Sirena c’è il collegamento ideale tra l’antica Paestum e la medioevale Capaccio. Ce lo spiegano gli studiosi locali. Dalla Stazione, guardando verso il monte, è bello vedere la trama del primo insediamento umano dopo l’abbandono della poderosa città dove greci, lucani e romani trovarono il modo, nonostante tutto, di avviare una convivenza.

Alla Stazione, nella vicina Sala buffet, quella delle “mense sibaritiche”, c’è tanto cemento, buttato anche a getti successivi. Grida proprio vendetta l’orrenda la ristrutturazione, databile a non più di una decina di anni fa, tentata dell’interno del buffet della stazione ferroviaria della più bella e meglio conservata città della Magna Graecia. Un cappotto di fattezze moderne messo a coprire, gli interni del primo approdo della migliore intellettualità europea ed americana che negli ultimi 120 anni. Attempati signori e signore, belle fanciulle vennero qui per ritrovare le suggestioni della classicità dell’antica Poseidonia. E delle rose pestane cantate dai poeti. Lo scempio è a cura di imprenditori malaccorti che avevano “comprato” da un ex ferroviere che, per ultimo, aveva la gestione di questo straordinario bene culturale.

Lo strazio fu fermato una decina di anni fa. Parzialmente in salvo sono le cantine sotterranee con le belle prese d’aria a bocca di lupo. In piena area 220, ovvero protetta dalla legge voluta da Umberto Zanotti Bianco per proteggere dall’ombra del “sacco edilizio” il cuore della città protetta dalle mura mastodontiche e, soprattutto, preservare, per una circonferenza di un chilometro attorno alle mura, i templi, le colonne, i santuarietti, i sepolcreti e quant’altro oggi, se non è stato asportato dai tombaroli, è ancora sotto terra.

A Paestum antica dove le costruzioni sono maestose, incombenti, gigantesche, elegantissime nella loro sobrietà ed essenzialità: suggeriscono il senso del misterioso, dell'imponderabile, del divino. A Santa Venere, alla Licinella, a Borgonuovo e Torre di Mare c’è invece l’edilizia dei condomini del turismo di massa. Un passo indietro e siamo di nuovo davanti al buffet della stazione ferroviaria dove negli anni ’30 arrivavano “gli innamorati” Umberto Zanotti Bianco, alto e secco, un Fassino del tempo, ed una distinta e claudicante signora napoletana, Paola Montuori. “Gettati” ad un lato ci sono due pezzi dell’antico acquedotto che da Trentinara portava l’acqua a Paestum. [2]

Turisti elegantemente vestiti, ferrovieri dalla divisa impeccabile si fanno fotografare davanti all’allora prestigiosa stazione di Pesto. L’immagine è degli anni Trenta, le finestre si aprono a “botte”. Sono storie degli anni Venti, Trenta.

Nel resto della piana di Capaccio – Eboli vanno avanti i lavori della Bonifica. Grandi e modernissime aziende agricole convivono con il latifondo. Poco lontano dalla Stazione, al Cafasso, i Bonvicino portano avanti un’avanzatissimo esperimento di capitalismo agricolo e di trasformazione dei prodotti. Le prime pesche sciroppate escono da qui. Straordinaria epoca gli anni Trenta per Paestum. Le rappresentazioni classiche che si svolsero a Paestum negli anni 1932, 1936 e 1938 conferiscono un tocco di mondanità al luogo. [3]Dal 1938 in poi la storia ha delle accelerazioni. C’è la guerra. L’8 settembre 1943 a Torre di Mare c’è il gruppo di soldati che daranno vita ad Operation Avalanche.

E dopo l’otto settembre a dirigere la Stazione arriva Nicola Paradiso. “Mio padre, fu licenziato per motivi politici nel 1936, quando il fascismo cadde fu riammesso al lavoro e venne spedito in una località allora classificata come "altamente malarica". Una Stazione punitiva. Ma la fine della Guerra segnò anche il riavvio del grande flusso turistico verso Paestum degli studiosi e degli appassionati e poi la grande invasione delle dattilografe teutoniche. A poche centinaia di metri di distanza si producevano le rinomate salse di pomodoro “super Cirio”. Fu un momento economico importante, costruttore di reddito per i contadini e di posti di lavoro per gli operai e che faceva immaginare le potenzialità economiche di un territorio dalla straordinaria feracità. “Mio padre, il capostazione – racconta Michele Paradiso - era "don Nicola" per il suo altruismo, quando non c'era ancora l'Ostello della Gioventù, ci faceva dormire anche i giovani studenti che arrivavano dall'Europa. Molti di loro sono diventati poi delle grosse personalità nei loro paesi e si sono ricordati dell'ospitalità ricevuta. Ci hanno poi mandato delle lettere di ringraziamento”.

C’è l’esempio di un presidente della Germania che venuto qui in visita ufficiale che volle rivedere il capostazione che l’aveva alloggiato e Giovanni Wilkens Desiderio che l’aveva accompagnato durante il suo soggiorno pestano. Perchè su quelle poltrone di pelle della prima classe ci potevano dormire in tre - quattro, stendendosi... “Mio padre, contravvenendo alle regole severe, apriva e metteva tutto a disposizione.”, testimonia Michele Paradiso. Il capostazione andava oltre: "Venivano dall'Agro Nocerino. Erano dei poveri disgraziati che per sopravvivere raccoglievano lumache dai nostri campi. Per raccogliere il loro quintale e mezzo di "maruzze" dovevano restare anche una settimana. La notte dormivano nella sala d'aspetto della seconda classe ed utilizzavano i bagni della Stazione. Mio padre consentiva tutto ciò perchè s'immedesimava nella loro condizione e mia madre, la mattina, gli portava il caffè”. Prima ancora c’è il lungo capitolo della “borsa nera” post – bellica: "Tutta la storia del contrabbando è passato attraverso la ferrovia. Loro si servivano dei vagoni bestiame. Dal sud si portava al nord l'olio d'oliva per averne in cambio della farina. I bidoni – aggiunge Michele Paradiso - li nascondevano sotto i respingenti dei treni. Era una guerra continua coi carabinieri e gli agenti daziari. Poi c'era uno scambio continuo con chi abitava attorno alla ferrovia. Non si scialava: "Agropoli aveva una vita economica grama. Oltre alla pesca, c'era solo un poco di terziario legato a scuole e pretura. Gravitava molto su Paestum. C'erano molte donne che venivano a piedi, camminando lungo i binari, da Agropoli con una cesta in testa. Dentro c'era ago, filo per cucire, pezzi di stoffa, bottoni, cerniere. E poi le alici sotto sale. Le chiamavano le "femminelle" perchè erano minute, basse di statura e camminavano sempre insieme. Si chiamavano Fiorina e Fiorinda. Una delle due aveva un figlio che faceva il palombaro e lavorava al recupero dei mezzi navali affondati durante lo sbarco del 1943. Il ragazzo morì all'altezza del "Raggio Verde" per l'esplosione di una mina.

Anche Angelina e Teresina, sempre di Agropoli, facevano la spola tra Paestum ed Agropoli. Un giorno, tra il 1960 ed il 1961, stavano tornando a casa, sempre camminando a piedi lungo la tratta ferroviarie. Anziane, erano stanche e non sentirono il treno che stava arrivando, all'altezza del ponte sul Solofrone finirono sotto tutte e due. Morirono. L'emozione fu grande perchè tutti le conoscevano”. Oltre alle “femmenelle” di Agropoli c’era poi Nunzio con la sua mappatella. Arrivava da Pompei.

Il personaggio andrebbe inserito di diritto nella nostra storia della mercanzia. Lui faceva il baratto con le famiglie dei contadini che la Riforma Fondiaria aveva da poco portato qui dal Cilento, da Pontecagnano e Montecorvino. Lui prendeva uova, olio, formaggi, grano ed in cambio vendeva i suoi tessuti”. Il “sindaco” di questo universo era “don Nicola Paradiso”.



[1] L‘ex Sala Buffet della Stazione dove Umberto Zanotti Bianco e la Paola Montuoro cenavano nelle serate d’inverno e la Stazione dove arrivavano, in treno, Giuseppe Ungaretti, Albert Camus, Rocco Scotellaro, Amedeo Maiuri e altri per visitare i templi, potrebbero divenire, con l’aiuto delle Istituzioni, un Archivio/Laboratorio della memoria del territorio, un’Officina d’Arte per la conservazione dei materiali di ieri e la costruzione del dorico di domani. La Stazione di Paestum come Ostello/Foresteria per artisti di tutto il mondo e come accoglienza e visibilità per l’eteroclita e parziale raccolta di materiali di Sergio Vecchio: foto dell’800 e dei più grandi maestri del novecento, incisioni, libri e documenti, artisti moderni e le più significative opere della sua produzione. Ed infine, un laboratorio di incisione e di ceramica presso il Casello 21, ora, come la stazione, in abbandono, e da restituire a nuova vita e destinazione d’uso.

[2] La “belle èpoque” c’era quando Rocco Barrella era il proprietario “Restaurant de la gare de Paestum” e nel “service de buffet tous le jours” si serviva “eaux de Nocera Umbra e di Serino” e c’era quel tocco di mondanità che s’addice alla meglio conservata città archeologica della Magna Graecia. “Nell’ampia ed ariosa sala del Buffet della Stazione di Paestum, vengono servite “mense sibaritiche” a tariffa veramente ragionevole, ed il viaggiatore, tra i discendenti dei Pestani che dirigono il Buffet, crederà di riconoscere la decantata ospitalità della Magna Graecia”, come leggiamo su una guida degli anni ’30.

[3] Il manifesto che pubblicizza gli eventi punta le luci sul tempio di Nettuno, l’esastilo più conservato dei templi pestani, posto in secondo piano rispetto ad un basolato e alle celebri rose; siglato Alicandri, è stampato presso le Industrie Grafiche Moneta di Milano. Nel 1932 visita Paestum Corrado Cagli. E’ l’epoca delle Panatenee. Paestum, registrò alcuni fra i più suggestivi rappresentazione mista, formata di diversi elementi, con grandi coreografie e musiche composte da Ildebrando Pizzetti. Non sono durate a lungo ma il loro simbolo è stato ripreso da alcuni anni a Pompei e Agrigento con un festival di musica e balletto di alta qualità, con cui ci si richiama alla squisita tradizione di una festa che attorno all’acropoli ateniese vedeva gare poetiche, musicali e di danza. A giudizio di quanti nel 1938 hanno assistito alle rappresentazioni di Paestum, l’impianto scenico fu vario e perfettamente adatto al grandioso e magico scenario naturale, mentre il sole, nell’ora del tramonto, arrossava con stranissimi riflessi la sommità delle immense colonne doriche e le trabeazioni dei due templi, accendendoli fantasticamente come fari giganteschi.

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