giovedì 16 settembre 2010

La riscoperta della carne di bufalo

Si fa sempre più strada tra le carni alternative: oltre lo struzzo, la carne equina, l'agnello e il coniglio si è scoperta, anzi ri-scoperta la carne di bufalo. Rispetto a quella vaccina, contiene meno grasso tra le fibre (ha invece una grande quantità di "grasso di copertura", facilmente separabile dal magro) e addirittura il 50 per cento di colesterolo in meno, è più tenera e più succosa, per una maggiore capacità di ritenzione idrica. La carne bufalina proveniente può vantare inoltre, rispetto a quella di manzo e vitello, un contenuto di lipidi bassissimo (1.5 %  contro il 19 % bovino) e una quantità maggiore di vitamine B6, B12 e K e di proteine. Ma quello che sorprende è la percentuale di ferro, addirittura doppia.

Eppure non è radicata nelle abitudini quotidiane a causa di un vecchio pregiudizio: anche chi non l'ha mai mangiata crede che si tratti di un alimento duro, dall'odore troppo forte e dal sapore invadente. Il motivo va ricercato nei metodi di allevamento di una volta. In primo luogo i bufali erano sfruttati, se femmine, per la produzione del meraviglioso latte da cui da sempre si ottengono mozzarelle e formaggi; se maschi, per il lavoro nei campi. Insomma, quando arrivavano sulla tavola erano ormai bestioni a fine carriera dalla carne assai poco invitante.

Ma anche chi li allevava per la produzione carnea aveva un brutto vizio: se ottenuta da capi giovani e di buona fibra, veniva spacciata per carne di vitellone. Solo quando la carne non era di gran qualità era effettivamente venduta per bufalina. Ecco come è nato nei consumatori un falso - ma giustificato - preconcetto. (Sarà per questo che si dice "è una bufala" per intendere un piccolo raggiro?)

Comunque, gli scambi di identità sono acqua passata. Oggi un gruppo di imprenditori coscienziosi riuniti nell'
Anasb (Associazione nazionale allevatori specie bufalina) si è dato regole rigide a garanzia del consumatore. Dando di nuovo valore a una risorsa carnea preziosa e soprattutto gustosa. Molti chef infatti sempre più si cimentano nella creazione di ricette che rendano giustizia alla tenerezza e aromaticità della carne bufalina, primo tra tutti Gianfranco Vissani con delizie come gli Gnocchi di patate al limone con ragù di lingua di bufalo al profumo di timo o i Ravioli di salsiccia di bufalo e melanzane.


Ma anche piatti più classici sono da leccarsi le dita, come semplici arrosti o stufati. L'importante che sia il pregiato bufalo mediterraneo italiano, di cui si è anche chiesto il riconoscimento europeo della Igp, indicazione geografica protetta. Nati e cresciuti nelle aree di produzione tipiche della mozzarella di bufala campana (Campania, basso Lazio, Puglia e Molise), i bufalotti da carne, che per loro natura vivono quasi allo stato brado e liberi di pascolare, non vengono sottoposti a metodi di allevamento intensivo, bensì passano la giornata all'aria aperta e sono alimentati con mangimi a base di fieno e mais di produzione locale.

Si rispettano così i ritmi che hanno da secoli e secoli. Infatti la loro collaborazione con l'uomo si perde nella notte dei tempi. In Italia se ne trovano tracce nei documenti fin dall'anno Mille. Nonostante la confusione di fonti bibliografiche (dovuta anche al fatto che col termine "bubalus" la lingua latina indicava buoi, alci e altri ruminanti) la presenza di allevamenti bufalini in Italia può collocarsi, in modo certo tra il XII e XIII secolo. Furono i Re Normanni a portare il bufalo nel continente dalla Sicilia, dove era stato introdotto dagli Arabi. All'inizio del secondo millennio, l'allevamento bufalino si sviluppò principalmente all'interno dei grandi ordini monastici, che durante il Medioevo operarono attivamente nel campo agricolo e dell'allevamento. A partire dal 1300 in molte zone costiere della penisola si crearono le condizioni favorevoli alla diffusione dell'allevamento bufalino, perchéciò che era un ambiente impervio per i bovini era invece un paradiso per i bufali: amano stare a mollo neitonzi o caramoni, le pozzanghere che scavano nel terreno.

Il ritorno dei bufali

Per esempio in Campania nel Basso Volturno e nella Piana del Sele, i bufali si diffusero con rapidità, sfruttando pascoli non altrimenti utilizzabili a causa delle continue inondazioni dei due fiumi. Nella zona esistono ancora le antiche "bufalare", costruzioni circolari in muratura con al centro un camino per la lavorazione del latte e con piccoli ambienti addossati alle pareti destinati all'alloggio dei pastori.

Nella regione oggi si contano circa 200.000 capi allevati per la produzione del latte e il settore carne mostra buone potenzialità produttive perché il clima mite e il terreno fertile creano l'habitat perfetto per il pascolo degli annutoli (i piccoli di bufalo). Con la giusta alimentazione e uno stile di vita naturale, all'età di 15-16 mesi sono pronti per fornire carni tenere, succose, saporite e facilmente digeribili. Anche sottoforma di prelibati salumi, come la bresaola, da condire con un filo di olio al limone.

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