venerdì 26 novembre 2010

Scoprire Castelnuovo di Conza e i suoi emigranti. Un libro

Tina Terralavoro è l’autrice di “Castelnuovo, paese di emigranti”, appena stampato per i tipi di Valsele, l’avventurosa storia di un popolo in cammino che ha raggiunto i più remoti angoli del mondo, raccogliendo i coralli nei mari africani o costruendo e gestendo il teatro Colombia a Bogotà,un gigante da 9 mila posti.
Nel circondario guardavano a Castenuovo e crepavano d’invidia. Castelnuovo era il paese del caffè vero mica del surrogato imbevibile, abbondava nelle dispense anche nei tempi di guerra, i pappagalli che parlavano e Amalia la Neura, la schiava negra liberata da un emigrato e portata in paese come domestica e tata. Amelia che s’integrò tanto bene da imparare a parlare in dialetto in maniera impeccabile. San Salvador. Guadalupa, l’Africa, gli States e poi Svizzera, Germania e Belgio, dove questi pastori e contadini non misero radici. I castelnovesi si sono dispersi nei quattro “pizzi” del mondo. In una mattina d’inizio agosto 2004 la piazzetta davanti al piccolo centro commerciale è affollatissima: “Vedi tutte queste persone? Alla fine di agosto qui non resterà più nessuno”, Carmine Terralavoro, il sindaco di Castelnuovo mi fotografa la situazione del suo paese. Che si rianima solo d’estate con gli emigranti che tornano a respirare l’aria bella e gentile, come canta una canzone popolare. L’emigrazione è il tratto distintivo del paese dove c’è un sindaco che chiede scusa pubblicamente perché non riesce a smettere di fumare ma pronuncia straordinarie orazioni funebri. Il folclore, la poesia, la memorialistica: tutto parla dello strazio per l’essere lontani dal “Chianieddo”, l’antica piazza. Eppure, eppure: “Nel 2004 abbiamo avuto già sei laureati. Quasi uno ogni cento abitanti. Pochi paesi italiani ci superano!”. Una di loro è Tina Terralavoro, dottoressa in lettere ad indirizzo antropologico, una piccola tempesta di idee ed amore per il piccolo paese che è ancora al secondo posto in Italia per l’incidenza del fenomeno migratorio. Un caso nazionale in un’Italia che è anch’essa terra promessa per i tanti che ogni notte sbarcano coi gommoni a Lampedusa. Tina è l’autrice di “Castelnuovo, paese di emigranti”, appena stampato per i tipi di Valsele, l’avventurosa storia di un popolo in cammino che ha raggiunto i più remoti angoli del mondo, raccogliendo i coralli nei mari africani o costruendo e gestendo il teatro Colombia a Bogotà , un gigante 9 mila posti. A maggio di quest’anno Vincenzo Iannuzzelli, 38 anni, imprenditore castelnovese, è a San Salvador con Mattew Hatfiled Knight, l’erede della Nike, quando quest’ultimo s’inabissò nei mari tropicali. I castelnovesi sono abituati ad andarsene per le strade del mondo. Solo nel 1933, nonostante la politica fascista che scoraggiava le partenze, da Castelnuovo se andarono in 424. Sono diventati di tutto: medici, artisti e diplomatici. E non è una storia finita. “Ancora oggi i giovani se vanno. Considerano il paese un gigantesco ospizio per anziani”, racconta Tina. Lei aveva diciassette mesi la sera del 23 novembre 1980. Alle 19.35 il padre Carmine se la tenne stretta sotto un arco di legno, tutt’intorno c’era il vecchio paese che crollava. “Mia moglie m’implorava, prega prega!. Dissi un’Ave Maria ed un Padre Nostro”. Il bilancio finale è di 84 morti. Nell’ormai lunga storia della diaspora castenovese si apre il capitolo più doloroso. Che è quello della nostalgia dello struggimento. “Chi strappa al tronco verde la radice? Chi vince il primo amore? Il tuo ricordo, il tuo sogno, chi lo dimentica, terra nativa, tanto più mia quanto lontana?”, è la frase di Luis Cernuda messa a conclusione dell’opera di Tina Terralavoro. La situazione del paese oggi? «Calma piatta e nessuna possibilità di rinascita. L’unica speranza – commenta il sindaco, Carmine Terralavoro – è andare via. Oliveto Citra non dista molto da qui eppure sembra un altro pianeta. Qui non c’è futuro, qui non c’è più vita», diceva il sindaco in una recentissima inchiesta sulla realtà delle zone terremotate pubblicata su di un quotidiano. Dollari, caffè e gomme americane non bastano più.

Autore recensione: Oreste Mottola

orestemottola@gmail.com

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