venerdì 3 dicembre 2010

Agricoltura ed extracomunitari nella Piana del Sele. Il punto della situazione

La questione dell’utilizzazione della manodopera extracomunitaria tocca marginalmente la nostra migliore imprenditoria agricola. L’azienda tipo ha una ventina di operai, tutti italiani, che seguono tutte le le attività e sono di “fiducia” dell’imprenditore. “Ti sfido a trovare un marocchino che è addetto alla potatura di pesche, susine ed altri alberi da frutta”, mi è stato detto. Non è più così quando si passa ad operazioni più semplici, faticose e ripetitive, tipo la raccolta, però a questo punto, l’imprenditore ha venduto il frutto “sulla pianta” ad altro soggetto che spesso organizza il suo lavoro “a cottimo” d’intesa con i caporali marocchini. E sulla terra, sotto il sole e la pioggia ci stanno solo loro...
Ci sono dei soggetti specializzati nelle “aziende di carta” che non solo assumono fittiziamente i finti braccianti agricoli italiani (e lucrano sulla concessione dell’indennità di disoccupazione, il premio maternità, ecc.) ma che, d’intesa sempre con soggetti marocchini o algerini, richiedono centinaia e centinaia d’ingressi “per lavoro”. L’estracomunitario paga cifre esorbitanti che vengono divise tra l’organizzazione italiana e quella nella madrepatria che organizza l'espatrio..

Quindi ogni “regolare” che sta nella Piana del Sele sul suo permesso di soggiorno ha annotato chi ha dichiarato non solo di assumerlo una volta in Italia ma si è fatto carico anche dell’alloggio. Basterebbe che gli organi inquirenti facessero luce su di ciò. Il rapporto di lavoro, ovviamente è fittizio, non verranno mai pagati i contributi Inps. Sono "aziende" che appaiono e scompaiono.

C’è poi un universo di “imprenditori cottimisti”, spesso dell’Agro e dell’hinterland napoletano che interviene, spesso in affitto, per mettere a coltura solo una coltura (finocchi, ecc.) e solo su particolari richieste di mercato. Qui l’utilizzo di extracomunitari è massiccio (le lavorazioni sono semplici e ripetitive… le piantine da mettere a dimora sono nei polistiroli, si zappetta, si concima …) e tutto si basa sul rapporto tra imprenditore italiano e caporale marocchino.

Diversa è la situazione delle aziende bufaline che i loro due indiani (la media è questa) li ospitano sempre all’interno delle pertinenze aziendali (fanno anche da custodi). Qui l’integrazione è fatta anche di famiglie ricongiunte e bambini e ragazzi che vanno regolarmente a scuola.

I NOMI. I noti Barlotti e Alfano li conosci. Sull’argomento ho incontrato molte reticenze perché le “aziende” a prevalente utilizzazione di manodopera extracomunitaria sono quelle che appaiono e scompaiono nel giro da un anno all’altro. Sono anche “contigue” a forme molto vicine alla camorra. C’è poi anche un “mercato al dettaglio”, sempre più in sviluppo, che comincia ad interessare le zone più adiacenti alla Piana. Per esempio: io devo raccogliere le olive delle mie 200 piante ad Altavilla? Scendo ad un bar di S. Cecilia trovo “uno che comanda” e la mattina dopo una squadra di marocchini è nel mio campo di “agricoltore della domenica” e con 500 euro ho raccolto le olive e realizzerò un olio che potrò poi (s)vendere.

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