venerdì 3 dicembre 2010

Gli amari ricordi di zia Rosa Sabia diventano un libro A 77 anni una casalinga sceglie di raccontare gli aspetti più difficili della sua vita

ORESTE MOTTOLA
E’ un diario dato alle stampe, uno spaccato di vita di una donna che coraggiosamente sceglie di fare i conti con chi l’ha fatta soffrire e contemporaneamente dice grazie a chi le ha offerto amicizia e comprensione.  “La mia vita è stata un tormento (…). Non ho mai trascorso un giorno felice e non avuto mai il coraggio di confidarmi con nessuno”. Inizia così “I miei ricordi”, il piccolo opuscolo di 36 pagine (senza editore ed acquistabile a 6 euro nelle edicole d’Altavilla Silentina), scritto da Maria Rosa Sabia, una casalinga di 77 anni. “Zia Rosa” (come la chiamano tutti) si confessa in pubblica piazza e racconta.  Non una sola riga del suo libretto è di “fiction”, ma è tutto puro distillato di vita. Vita amara. Non parla dell’Altavilla bombardata, delle vittime civili o dei figli, fratelli o padri che la guerra si prese, pur avendo vissuto da bambina e ragazza, in pieno questo periodo pur così complicato per il nostro paese. O dell’inizio di una delle più massicce ondate migratorie. La narrazione di Maria Rosa Sabia parte da quando lei è già in “età da marito”, ha 20 anni,  e muore, vittima di un omicidio, il ragazzo che le ha rivelato il suo amore. “Glielo dissi che non ero interessata a lui”, scrive. Ed aggiunge: “Io penso, rifiutandolo, che mi abbia fatto tutto questo perché dovevo soffrire per tanti anni”. Poi arriva il matrimonio, ed è con un invalido di guerra, “che la pensione”. Si trasferiscono quasi subito a Lagonegro. Qui ci resta per 48 anni. L’inferno per Maria Rosa, lontana dal paese d’origine, diventa più acuto perché lei è sola con lui che si dimostra, stando al suo scritto,  un violento. Impressionante è l’elenco: “Ubriaco, mi buttò dalle scale”; “Aveva nel cuore cento amanti”; la lascia sola di notte in un bosco; la butta fuori casa nel cuore della notte. “Mi minacciava con il coltello, dicendo che voleva uccidermi. Per paura di essere ammazzata saltai giù dalla finestra, alta tre metri. Non so come non mi feci niente”; un’altra volta tenta di fargli bere del veleno. Nel 1961, alla stazione, tenta di buttarla sotto il treno. Seguono le storie delle “cento amanti” del marito. Che la minacciano in continuazione perché vogliono che si tolga di mezzo. Ma ogni pazienza ha un suo limite e per tre anni, dal 1969 al 1972, Maria Rosa vive una storia d’amore clandestina. Ad Altavilla, però.  “Con quest’uomo sono stata felice. Ci vedevamo di nascosto. Ci lasciammo perché lui meritava di avere una ragazza senza problemi…”. In mezzo c’è la patente dell’automobile, presa nei primi anni Sessanta, quando le donne al volante erano delle mosche bianche. Intorno al 2000 il marito di Maria Rosa muore e lei, finalmente, può vivere come meglio crede. E mettersi alle spalle Lagonegro, tornando ad Altavilla: “il paese a me così caro”. Si trova un nuovo compagno, che poi lascia, e dichiara orgogliosa: “Questi pochi anni che starò su questa terra voglio vivere felice”. Compra la grande casa che affaccia sulla piazza, di fronte al Castello, e che è appartenuta ad una delle famiglie più note del paese. “Mi sento di tornare alla mia gioventù. Sono felice ed orgogliosa di me stessa”. Questa è la sintesi del suo racconto, chi vuole leggerlo integralmente può procurarsi una copia de “I miei ricordi”. O chiedere direttamente a questa donna coraggio, una figura non infrequente nella storia d’Altavilla.

Oreste Mottola           

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