venerdì 3 dicembre 2010

Il meccanico Francesco Monaco racconta le storie di lupi degli Alburni

Nessuno slogan meglio di “Alburni, profumo d’origano e ginestra” riesce a rendere gli incanti della montagna che segna i confini tra Piana del Sele e Vallo di Diano. L’abbiamo trovata, questa saporosa ed odorosa descrizione, nel libro di Francesco Monaco, “Storie di lupi”, edizioni “Stampa Editoriale”, 60 pagine, 10 euro. “Da questa natura così selvaggia il bosco generava lupi, e la società contadina generava i Briganti”, scrive Monaco, un meccanico sessantenne con la passione della storia moderna della sua terra. Una storia che sconfina spesso nel mito. Come quello di Passannante, celebre cacciatore di Sicignano, che ammazzando l’ultimo orso in circolazione da quelle parti, consentì al lupo di diventare il padrone incontrastato del bosco. Il lupo come metafora, perché come canta Eugenio Bennato: “’o vero lupo ca magna e criature è u piemontese c’amma caccià”. E’ l’humus dell’unica guerriglia contadina delle nostre parti, il brigantaggio, che per noi affonda nelle regole della “spartenza” tra contadini e proprietari terrieri che fissavano a “10 a 2” le parti nella divisione dei raccolti e dell’allevamento degli animali. Da qui venne fuori Gaetano Tranchella: “Di carattere forte, bella presenza e avventuriero”. Il suo punto di forza fu nella conoscenza di questa montagna, del fiume Calore e del bosco di Persano: “era inaccessibile per i gendarmi che non conoscevano quei luoghi”. Quando li fece conoscere invece un viandante londinese, Richard Keppler Craven con “On the road near Sicignano”, lungo la strada vicino Sicignano, si chiama il dipinto, del 1818, che raffigura il panorama di Sicignano, oggi è esposto in una dei migliori musei di Londra, i distratti piemontesi non vi fecero caso. Se li ricordano invece a Scorzo, luogo di locande frequentate finanche da Cicerone, quando – sospettati dare aiuto ai briganti - furono deportati a Zuppino e le loro case furono oggetto di saccheggio. Testimonianze di quel mondo ancora oggi sopravvivono nella gastronomia di ristoranti ed agriturismi come il “Sicinius” di Felice Colliani, erede della taverna di “Messer Giacomo” avamposto d’osservazione per resistere ai malintenzionati, con o senza divise, portavano offesa alla gente che viveva alle pendici di “Albus”, la montagna sacra.  

Oreste Mottola

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